CATANIA – Trovare un cappelletto per cominciare questo articolo non è assolutamente facile, perché ci si rende conto che gli aggettivi sono già finiti. Mancano ancora 8 partite, ma il Catania si è sciupato (ogni giorno con qualche probabilità in più) definitivamente per questo campionato con la terza sconfitta di fila a Pagani, contro la Paganese di Gianluca Grassadonia.
Inutile girare attorno a commenti tattici, a cui arriveremo: è bene affrontare un problema che pare proprio irrisolvibile. Mentalità, persa sia fuori che dentro casa. L’esempio lampante sono le due bandiere del Catania, Biagianti e Marchese, che non riescono a tirar fuori quel pizzico d’esperienza per dare manforte a centrocampo e difesa. Sebbene il capitano rossazzurro giochi in ombra, il terzino è colui che la combina grossa. E per ben due volte: in entrambe le occasioni da rete, prima Alcibiade e poi Firenze, i marcatori li perde lui. Il piazzamento della difesa sui calci piazzati non era sbagliato, i due azzurrostellati andati a segno erano marcati. O almeno, avrebbero dovuto esserlo.
È questione di mentalità anche quando il Catania decide di giocare sul serio, quindi con corpo e mente, soltanto in due frangenti: il primo, tra il 30′ ed il 35′ dove Tavares e Pozzebon non riescono a battere Liverani, poi è Marchese a servire un pallone con troppa forza per Pozzebon che non ci può arrivare. Dopo quelle occasioni, arriva la rete della Paganese. Il secondo momento, invece, dal pareggio di Di Grazia al 54′. Catania costantemente in avanti, costringendo la Paganese a stare rintanata nella propria metà campo e quasi mettendogli paura di perdere quella partita. Ancora una volta Pozzebon sciupa un’occasione clamorosa davanti a Liverani. E la Paganese fa goal. 5 minuti nel primo tempo, 18 nel secondo: 23 giri d’orologio su 90 possono bastare a fare risultato, specialmente fuori casa? Troppo poco.
Alla prima difficoltà, il Catania si disunisce e non sa più cosa fare. Al primo sbaglio, poi, gli avversari lo puniscono sempre: cattiveria, soltanto questo. Quello che manca ai rossazzurri e non alle altre squadre: le motivazioni più forti dovevano essere quelle degli ospiti, in quanto è vero che al “Marcello Torre” il Catania veniva da due sconfitte di fila, ed è proprio questo a dover scuotere lo spogliatoio per dire anche semplicemente “Noi possiamo rialzarci“. Questa frase probabilmente la dicono in pochi e non funziona quasi mai.
Si prenda come modello il Melfi di Aimo Diana: colpo di reni dopo undici sconfitte consecutive e vittoria per 2-0 a Catania. Poi successo interno contro il Catanzaro e vittoria a Francavilla Fontana (dove i rossazzurri hanno perso). Sono le motivazioni quelle che fanno la differenza e gli etnei non le hanno, l’impressione è quella che non si impongano e non facciano valere in cattedra il proprio valore. Un po’ come quei docenti troppi larghi di manica che poi vogliono recuperare tutto urlando in venti minuti, per farsi rispettare. In quel momento riescono, poi l’indomani è tutto come prima.
Bisogna anche dire che il Catania non ha un regista: era Lodi l’uomo giusto? Lo scopriremo la prossima estate. Per Scoppa era la partita della vita (ed in teoria doveva esserla per tutti) e nel primo tempo la sbaglia completamente. Nel secondo gli tolgono i riflettori di dosso, però la sostanza è sempre quella: non sufficiente. Poi anche Tavares, che da esterno d’attacco non è stato funzionale, non ha le caratteristiche. Forse sarebbe stato meglio provare Barisic. In sostanza, quei ventitré minuti dovevano essere novantatré perché per tutto il resto della gara il Catania non sa dove giocare la palla, stando a guardare in una circostanza su due.
Probabilmente, la Lega Pro non è ancora entrata in testa al Catania: questo club non è più quello della vittoria contro l’Inter del Triplete, della semifinale di Coppa Italia contro la Roma, dei vari argentini che piegavano le difese avversarie, della stagione dei record dove i rossazzurri hanno sfiorato l’Europa. Il Catania è un club di Lega Pro e tale dev’essere considerato, come le squadre di terza serie, uguale alle altre e senza sufficienza. Che quest’ultima non ha mai portato da nessuna parte.
Adesso è crisi nera, Catania in ginocchio. Chi arriverà prossima settimana? Il Foggia, devastante in quest’ultimo periodo e dritto verso la Serie B. Si può sperare nel fattore campo, i rossazzurri non sono spacciati ma qualche difficoltà in più inizia ad incombere verso un obiettivo che adesso diventa più complicato raggiungere. Non tanto per la qualità e per il risultato, quanto per l’atteggiamento.
Play-off o meno, con questa mentalità, a prescindere, il Catania è semplicemente un fuocherello che alcuni non riescono a spegnere perché non hanno abbastanza acqua. Poi però c’è chi di acqua ne ha in abbondanza e spegne tutto, a volte anche il Catania stesso fa autogoal gettandosela da solo. Ma chi ne ha di più, in questa Lega Pro, è quasi tutto il girone.
E se giocasse qualche giovane in più? “Rutta ppi rutta, ormai rumpemula tutta“.
Catania distrutto: semplice fuoco che viene spento da chi ha più acqua
CATANIA – Trovare un cappelletto per cominciare questo articolo non è assolutamente facile, perché ci si rende conto che gli aggettivi sono già finiti. Mancano ancora 8 partite, ma il Catania si è sciupato (ogni giorno con qualche probabilità in più) definitivamente per questo campionato con la terza sconfitta di fila a Pagani, contro la Paganese di Gianluca Grassadonia.
Inutile girare attorno a commenti tattici, a cui arriveremo: è bene affrontare un problema che pare proprio irrisolvibile. Mentalità, persa sia fuori che dentro casa. L’esempio lampante sono le due bandiere del Catania, Biagianti e Marchese, che non riescono a tirar fuori quel pizzico d’esperienza per dare manforte a centrocampo e difesa. Sebbene il capitano rossazzurro giochi in ombra, il terzino è colui che la combina grossa. E per ben due volte: in entrambe le occasioni da rete, prima Alcibiade e poi Firenze, i marcatori li perde lui. Il piazzamento della difesa sui calci piazzati non era sbagliato, i due azzurrostellati andati a segno erano marcati. O almeno, avrebbero dovuto esserlo.
È questione di mentalità anche quando il Catania decide di giocare sul serio, quindi con corpo e mente, soltanto in due frangenti: il primo, tra il 30′ ed il 35′ dove Tavares e Pozzebon non riescono a battere Liverani, poi è Marchese a servire un pallone con troppa forza per Pozzebon che non ci può arrivare. Dopo quelle occasioni, arriva la rete della Paganese. Il secondo momento, invece, dal pareggio di Di Grazia al 54′. Catania costantemente in avanti, costringendo la Paganese a stare rintanata nella propria metà campo e quasi mettendogli paura di perdere quella partita. Ancora una volta Pozzebon sciupa un’occasione clamorosa davanti a Liverani. E la Paganese fa goal. 5 minuti nel primo tempo, 18 nel secondo: 23 giri d’orologio su 90 possono bastare a fare risultato, specialmente fuori casa? Troppo poco.
Alla prima difficoltà, il Catania si disunisce e non sa più cosa fare. Al primo sbaglio, poi, gli avversari lo puniscono sempre: cattiveria, soltanto questo. Quello che manca ai rossazzurri e non alle altre squadre: le motivazioni più forti dovevano essere quelle degli ospiti, in quanto è vero che al “Marcello Torre” il Catania veniva da due sconfitte di fila, ed è proprio questo a dover scuotere lo spogliatoio per dire anche semplicemente “Noi possiamo rialzarci“. Questa frase probabilmente la dicono in pochi e non funziona quasi mai.
Si prenda come modello il Melfi di Aimo Diana: colpo di reni dopo undici sconfitte consecutive e vittoria per 2-0 a Catania. Poi successo interno contro il Catanzaro e vittoria a Francavilla Fontana (dove i rossazzurri hanno perso). Sono le motivazioni quelle che fanno la differenza e gli etnei non le hanno, l’impressione è quella che non si impongano e non facciano valere in cattedra il proprio valore. Un po’ come quei docenti troppi larghi di manica che poi vogliono recuperare tutto urlando in venti minuti, per farsi rispettare. In quel momento riescono, poi l’indomani è tutto come prima.
Bisogna anche dire che il Catania non ha un regista: era Lodi l’uomo giusto? Lo scopriremo la prossima estate. Per Scoppa era la partita della vita (ed in teoria doveva esserla per tutti) e nel primo tempo la sbaglia completamente. Nel secondo gli tolgono i riflettori di dosso, però la sostanza è sempre quella: non sufficiente. Poi anche Tavares, che da esterno d’attacco non è stato funzionale, non ha le caratteristiche. Forse sarebbe stato meglio provare Barisic. In sostanza, quei ventitré minuti dovevano essere novantatré perché per tutto il resto della gara il Catania non sa dove giocare la palla, stando a guardare in una circostanza su due.
Probabilmente, la Lega Pro non è ancora entrata in testa al Catania: questo club non è più quello della vittoria contro l’Inter del Triplete, della semifinale di Coppa Italia contro la Roma, dei vari argentini che piegavano le difese avversarie, della stagione dei record dove i rossazzurri hanno sfiorato l’Europa. Il Catania è un club di Lega Pro e tale dev’essere considerato, come le squadre di terza serie, uguale alle altre e senza sufficienza. Che quest’ultima non ha mai portato da nessuna parte.
Adesso è crisi nera, Catania in ginocchio. Chi arriverà prossima settimana? Il Foggia, devastante in quest’ultimo periodo e dritto verso la Serie B. Si può sperare nel fattore campo, i rossazzurri non sono spacciati ma qualche difficoltà in più inizia ad incombere verso un obiettivo che adesso diventa più complicato raggiungere. Non tanto per la qualità e per il risultato, quanto per l’atteggiamento.
Play-off o meno, con questa mentalità, a prescindere, il Catania è semplicemente un fuocherello che alcuni non riescono a spegnere perché non hanno abbastanza acqua. Poi però c’è chi di acqua ne ha in abbondanza e spegne tutto, a volte anche il Catania stesso fa autogoal gettandosela da solo. Ma chi ne ha di più, in questa Lega Pro, è quasi tutto il girone.
E se giocasse qualche giovane in più? “Rutta ppi rutta, ormai rumpemula tutta“.