Carcinoma della cervice uterina

Carcinoma della cervice uterina

Il carcinoma della cervice uterina a livello mondiale è il secondo tumore maligno della donna, con circa 500.000 nuovi casi stimati nel 2002, l’80% dei quali nei Paesi in via di sviluppo. Esistono notevoli differenze geografiche di incidenza del tumore, che sono legate soprattutto alla diversa diffusione dei programmi di screening organizzati per la sua prevenzione.

I dati del registro nazionale tumori relativi agli anni 1998-2002 mostrano che ogni anno in Italia sono stati diagnosticati circa 3.500 nuovi casi di carcinoma della cervice (pari a una stima di incidenza annuale di 10 casi ogni 100.000 donne). Circa 1000 donne muoiono in un anno per questa patologia.

Nel corso della vita, il rischio di avere una diagnosi di tumore della cervice è del 6,2 per mille (1 caso ogni 163 donne), mentre il rischio di morire è di 0,8 per mille.

Il carcinoma cervicale è il primo cancro a essere riconosciuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come totalmente riconducibile a un’infezione da virus del Papilloma o HPV (3). Il virus HPV o papilloma virus fa parte di una famiglia di più di 120 tipi di virus che sono responsabili di causare vari tipi di lesioni cutanee o mucose, dalle verruche delle mani e dei piedi, a lesioni genitali di vario genere. I genotipi a basso rischio sono associati a lesioni benigne come i condilomi ano-genitali. Alcuni genotipi virali, in particolare il tipo 16 e il 18 definiti ad alto rischio, sono implicati nella patogenesi del carcinoma della cervice uterina. In particolare al genotipo 16 vengono attribuiti circa il 60% di tutti i casi di questa patologia neoplastica, al 18, circa il 10% dei casi.

Il virus HPV è implicato inoltre nella patogenesi di altri tumori in sede genitale (vulva, vagina, ano, pene) ed extragenitale (cavità orale, faringe, laringe) con percentuali di attribuzione variabili dal 25% al 100%. L’infezione si trasmette attraverso il contatto sessuale diretto tra le mucose, attraverso i liquidi biologici, ma anche attraverso la cute. Questo spiega la scarsa protezione fornita dal condom contro questo tipo di infezione e l’alta contagiosità (circa l’80% della popolazione sessualmente attiva la contrae almeno una volta nella vita).

In questo periodo a livello della cervice uterina si possono determinare delle alterazioni cellulari per lo più transitorie, che in citologia si definiscono LSIL (lesione squamosa intraepiteliale di basso grado) e in istologia CIN 1 (Neoplasia intraepiteliale cervicale). Solo le infezioni persistenti da HPV ad alto rischio, da HPV 16 e 18, possono, in una minoranza di casi, provocare delle alterazioni dell’epitelio della cervice uterina di tipo precanceroso o displasie medie e gravi (HSIL sul Pap test e CIN 2 e CIN 3 nel preparato istologico) e, in casi ancora più rari, il carcinoma cervicale.

Le donne giovani, sotto i 30 anni, hanno un’alta prevalenza di infezioni da HPV, che regrediscono nella maggior parte dei casi, se CIN 1. Per le lesioni CIN 2 e CIN 3, che pure regrediscono anch’esse in un’alta percentuale di casi, non potendo stabilire esattamente quali possono regredire e quali no, attualmente è previsto il trattamento chirurgico.

La progressione delle lesioni si verifica in tempi molto lunghi, occorrono infatti da 4 a 7 anni per passare dalla displasia lieve al carcinoma in situ ed almeno 10 anni per passare da questo al carcinoma invasivo. La probabilità di progressione delle lesioni è correlata anche ad altri fattori, quali l’elevato numero di partner sessuali, il fumo di sigaretta, l’uso a lungo termine di contraccettivi orali, e la co-infezione con altre malattie sessualmente trasmesse (HSV, HIV).

Giuseppe_Ettore