Dagli anni settanta, da Alma Ata, le cure primarie rappresentano il primo livello di cure con cui l’individuo, la famiglia e la collettività entrano in contatto col servizio sanitario. Nel nostro paese rappresentano il primo livello di protezione, con ruolo cruciale nell’offerta di cure in risposta alla domanda di salute delle persone. L’intervento territoriale è multidimensionale, con inderogabile necessità di integrazione ai fini di produrre salute e trattamenti per le condizioni di malattia più complesse e varie. Per migliorare la condizione organizzativa territoriale è necessario trasferire risorse dall’ospedale, unico metodo per potenziare le cure primarie, anche per la obiettiva considerazione che i bisogni di sanità sono sempre di più caratterizzati dalla cronicità e dalla complessità, con richiesta diffusa di vera presa in carico di tali bisogni, anche sociali, non essendo più possibili le risposte non di sistema, ma parcellizzate e frammentate come quelle attuali.
Punto nevralgico per attuare una buona assistenza nel territorio, da sempre, è il distretto sanitario, questione nota fin dagli anni novanta, anche se tale tassello, fondamentale nell’architettura gestionale delle cure primarie e territoriali, non è ad oggi riuscito a sviluppare le condizioni per essere una seria alternativa alla ospedalizzazione. Il distretto avrebbe dovuto essere il livello organizzativo, prossimo alla persona, capace di garantire con il buon uso delle risorse il diritto alla salute della comunità. In tal senso le Regioni si sono impegnate nella definizione e nello sviluppo di modelli diversi ed orientati verso le cure primarie.
Le riforme nazionali, in campo sanitario, hanno tuttavia determinato, con la forte spinta autonomista, la creazione di talmente tanti differenti modelli di organizzazione distrettuale da determinare alla fine tante differenti tipologie di assistenza primaria, realizzando di fatto una sanità differente da una regione ad un altra, al di là dei cosiddetti livelli essenziali di assistenza uniformi.
La diversificazione dei vari modelli regionali ci deve tuttavia far riflettere, in considerazione del fatto che le marcate differenze regionali vanificano, alla fine, il significativo valore unitario del nostro servizio sanitario nazionale, importante patrimonio della nostra terra per le sue caratteristiche di universalità e solidarietà. Oggi le cure primarie puntano, restando inalterato il rapporto personale ed esclusivo di fiducia con l’individuo, verso forme associative di lavoro più evolute e complesse, in condizione di dare le migliori risposte richieste, articolate, alla cronicità, complessità e fragilità.
Le diversità regionali hanno pero’ prodotto un panorama cosi’ variegato di organizzazioni sanitarie che le criticità sono ormai notevoli per le evidenti disomogeneità organizzative nel territorio nazionale. La presa in carico dei malati, sempre più frequentemente anziani, per l’allungamento della vita media, affetti da malattie croniche in comorbilità, necessita naturalmente di un intervento unitariamente condiviso da tutti gli operatori del sistema, con minore variabilità organizzativa regionale e superamento della frammentazione e parcellizzazione degli interventi. Allineare le linee strategiche di intervento nell’intero territorio nazionale, pur nel rispetto delle autonomie regionali, rappresenta, quindi, una scelta obbligatoria, non più differibile, nell’interesse primario della tutela della salute pubblica e della sostenibilità dell’intero sistema sanitario pubblico.
Integrare ed armonizzare gli interventi è l’unico modo per dare le risposte concrete ai bisogni di salute sempre più complessi. Le Regioni invece, con il decentramento e l’autonomia organizzativa, hanno determinato una marcata differenza nell’organizzazione del servizio pubblico, con modelli plurimi e diversi che hanno determinato, in tal guisa, marcate differenze sui risultati di salute attesi dalla popolazione, con differente capacità di presa in cura da una regione all’altra ed antidemocratica possibilità di accesso al sistema pubblico, in relazione alla residenza dei cittadini. Le differenze regionali hanno determinato, pur senza volerlo, differenze nell’accesso al diritto alle cure dei cittadini italiani per le obiettivamente diverse capacità del sistema di consentire i migliori risultati possibili, fino a pervenire anche a differenze fra una zona e l’altra della stessa regione o fra un distretto ed un altro della stessa azienda sanitaria.
La diversità nei modelli erogativi delle cure primarie ha determinato, di fatto, una erogazione di servizi con qualità e quantità differenti, anche all’interno della stessa regione, per cui si deve agire immediatamente per restituire alle persone il diritto, costituzionalmente garantito, alle cure, al di là della residenza, del ceto e quant’altro. Superare la frammentazione degli interventi, in uno con il superamento della parcellizzazione dei luoghi in cui si decide la tutela organizzata della salute, significa finalmente allineare, nell’intero territorio nazionale, la strategia di intervento, a garanzia di democraticità ed unitarietà del sistema sanitario nazionale.
Solo pochi, fra decisori politici, operatori della sanità e responsabili delle istituzioni ordinistiche, hanno piena consapevolezza della necessità di restituire all’universalità ed unicità il servizio sanitario pubblico, così come non molti comprendono, al di là delle teoriche affermazioni, come sia fondamentale, nell’interesse dei malati, procedere in piena integrazione ed appropriatezza d’uso delle risorse pubbliche. Passare dalla asserzione della necessità di integrarsi e condividere i percorsi, alla concreta realizzazione del processo integrativo necessita di elevato consenso e condivisione. Non servono in tal senso altre leggi o decreti, ce ne sono già tanti, occorre piuttosto iniziare, senza tentennamenti, il lungo percorso culturale di noi tutti, se vorremo essere seriamente adeguati ai tempi ed alle sfide che ci attendono. La mancata integrazione, unitamente alle diversità organizzative regionali, resta ancora oggi un importante fattore critico del servizio sanitario. Non si può ritenere che alla fine si tratta di scegliere ed applicare un modello più o meno organizzato, in quanto la modellistica adottata di per sè non è sinonimo di qualità, occorre invece procedere senza indugio a diffondere la cultura della condivisione multi professionale adottando quei modelli, contestualizzati, che sono ritenuti i più idonei al raggiungimento del processo integrativo nella sanità pubblica.
La persona è il capitale strategico da cui non si può prescindere e la cultura è il principio di ogni cosa, da cui deriva tutto il resto. Forse oggi le difficoltà sono grandi perché non ci sono più i Maestri, quegli esempi di vita, di arte medica e professione da cui ricavare i buoni esempi per un futuro diverso e migliore. Prima dei modelli quindi pensiamo all’Uomo, cui va dedicata attenzione massima. Le conoscenze, le competenze e le esperienze di noi tutti devono essere usate per aumentare la consapevolezza e devono essere trasformate in patrimonio culturale comune.