La sanità pubblica è attraversata da profondi cambiamenti organizzativi e culturali. Processi di innovazione sembrano necessari per l’aumento della complessità dell’uomo malato. Il cambiamento è però un fenomeno destabilizzante, rappresentando una condizione di disagio, tanto che ogni organizzazione sanitaria tende alla conservazione e al mantenimento dello status quo. Le persone interpretano le scelte organizzative rendendole coerenti ed applicabili, tuttavia nei processi di cambiamento vi sono molte resistenze che per essere superate richiedono la sviluppo di relazioni fra i vari attori di tipo reticolare.
Per i medici cambiare significa accantonare parte delle conoscenze accumulate negli anni per dare spazio a nuove competenze. Il timore di perdere l’identità professionale diviene evidente anche con l’uso di una medicina basata sulle evidenze, in cui le decisioni cliniche dipendono da una analisi sistematica di prove sperimentali, non più basate sull’intuizione e sulla esperienza soggettiva. Con il ritorno alla medicina narrativa, richiesto a viva voce, si dovrà ritornare ad ascoltare il malato e la sua storia. Ne deriva che diviene necessario per i medici svolgere un complicato esercizio di immaginazione della condizione di persona malata, comprendendo il suo punto di vista ed immergendosi nella storia di malattia, in maniera empatica.
Risulta evidente che più il medico è aperto verso le proprie emozioni, più è in grado di leggere i sentimenti e le emozioni degli altri. Condizione essenziale per esercitare la professione medica è quella di possedere la capacità di un migliore ascolto anche se nessuno, durante il corso degli studi, ha insegnato ai medici come stabilire un legame professionale partecipe, nonostante sia diffusamente noto che la relazione col malato deve essere considerata il cuore di qualsiasi professione di aiuto.
Ritornare quindi alla medicina di ascolto, narrativa, significa, al di là degli schemi organizzativi utilizzati, stabilire una vera comunicazione fra esseri umani, determinando un vero patto di cura. Risulta evidente come la efficacia della cura e la presa in carico dei problemi di una persona malata devono essere fondate sulla relazione medico-paziente, non essendo sostitutivo del rapporto fra i due il cambiamento del sistema organizzativo. Non può ritenersi, infatti, che un buon modello da solo determini una buona qualità dell’assistenza sanitaria, così come la diagnostica strumentale e gli esami di laboratorio con le conseguenti prescrizioni mediche, anche quando basate sulla evidenza.
Torniamo all’arte di essere medici, con l’uso degli strumenti tecnologici moderni che non possono tuttavia essere la soluzione unica in assenza di capacità di ascolto e relazione fra uomini.