Blitz a Corleone, in manette fedeli di Riina

Blitz a Corleone, in manette fedeli di Riina

CORLEONE – Qui è sempre la mafia a comandare. Anche se Totò Riina è rinchiuso al 41 bis, c’era chi lavorava per lui pilotando campagne elettorali, chiedendo il pizzo e gestendo gli appalti.

E tra Corleone e Palazzo Adriano i fedelissimi del capo di Cosa Nostra erano sguinzagliati sul territorio… avevano il peso di essere loro i nuovi uomini d’onore della zona. In cinque all’alba sono stati arrestati dagli oltre cento carabinieri del gruppo di Monreale e della compagnia di Corleone che hanno eseguito il maxi blitz insieme con le unità cinofile e un elicottero.

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Le indagini sono iniziate due anni fa e a coordinarle sono stati il procuratore Leonardo Agueci, l’aggiunto Vittorio Teresi e due pm della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo documentando i nuovi assetti di Cosa Nostra all’interno del mandamento corleonese. Il nome che spicca fra le cinque persone finite in manette è quello di Antonino Di Marco, 58 anni, custode del campo sportivo comunale. I summit di mafia si tenevano all’interno del suo ufficio e sono stati filmati da telecamere e microspie 24h su 24h. 

Di Marco dettava legge e impartiva i giusti insegnamenti ai suoi adepti chiedendo loro “educazione, rispetto e serietà”. Era il fulcro della famiglia, mediando in caso di contrasti territoriali proprio fra il gruppo di Palazzo Adriano e quello di Corleone.

Suo fratello Vincenzo aveva fatto da autista a Ninetta Bagarella, moglie di Riina e nel ’93 venne arrestato per favoreggiamento del boss durante la latitanza tanto che venne visto uscire dal covo di via Bernini il giorno prima della cattura.

Ora, erano loro a gestire gli affari importanti della zona facendo forza, per gli appalti pubblici, sui funzionari collusi mentre per le campagne elettorali si erano presi a cuore l’elezione dell’attuale sindaco di Palazzo Adriano Carmelo Cuccia, col quale Di Marco si è incontrato in più occasioni, e quella di Nino Dina esponente dell’Udc e attuale presidente della commissione Bilancio dell’Assemblea regionale siciliana.

L’attività investigativa è iniziata quando negli uffici di polizia arrivò la denuncia del funzionario di un ente locale che aveva subito minacce ed estorsioni dalla consorteria di Palazzo Adriano

Il gruppo mafioso chiedeva  il pizzo agli imprenditori della zona,sei i casi accertati, soprattutto alle ditte appaltatrici dei lavori di costruzione e rifacimento di tratti stradali del paese: alla somma destinata per i lavori si doveva aggiungere un 3% di interesse e in più bisognava servirsi della manodopera che imponeva la famiglia e acquistare il materiale da costruzione solo in certi posti. Chi osava ribellarsi subiva furti, danneggiamenti e la bottiglia incendiaria.

Fra le altre attività, Di Marco gestiva alcuni terreni della Curia di Monreale, in contrada Tagliavia.

I discepoli di Di Marco che sono finiti in manette sono Pietro Paolo Masaracchia, impiegato forestale di 64 anni che era soprannominato “l’ingegnere” e gestiva la cassa di famiglia. Nicola Parrino imprenditore edile di 61 anni, mediava con gli altri mafiosi, si intrometteva negli appalti pubblici e riscuoteva gli oboli mensili. E Infine i due fratelli operai Franco e Pasqualino D’Ugo di 49 anni e 53 anni: loro costituivano la manovalanza realizzando gli atti intimidatori e i danneggiamenti.