Piazza Armerina e Niscemi “traslocano” a Catania

Piazza Armerina e Niscemi “traslocano” a Catania

PIAZZA ARMERINA – Quella dei liberi consorzi di comuni è una riforma zoppa. Ancora non si parla della sua attuazione e la direzione è quella di un’ulteriore proroga. Già nei giorni scorsi l’onorevole Nello Musumeci aveva duramente attaccato il governo regionale definendo la riforma “folle, irragionevole e inattuabile”.

Lo stesso presidente Crocetta, intervistato quest’oggi da un quotidiano regionale, ha glissato sul tema rivendicando l’abolizione delle province e sviando su altri temi per evitare di rispondere alla domanda scomoda.

Sono pochissimi i comuni che hanno scelto con quale città capofila stare e sono emerse antiche ruggini e voglie di “indipendentismo” dai capoluoghi da parte di molte città. A Piazza Armerina, in provincia di Enna (ancora per poco?), si è svolto un referendum per scegliere con quale libero consorzio stare. Il tema del quesito era se lasciare l’ex provincia di Enna e, di conseguenza, entrare a far parte del consorzio etneo.

Netta la vittoria del sì: nei 22 seggi cittadini si sono recati circa 5mila elettori sugli oltre 18mila aventi diritto. Favorevole l’83% dei votanti  e il risultato sembra non sorprendere nessuno dei piazzesi. Da tempo serpeggiava la voglia di smarcarsi da Enna per fare sistema con Gela e Niscemi. La decisione di istituire la provincia ennese ha radici lontane ma non antichissime. Venne istituita nel 1927 dal fascismo e inglobò Piazza Armerina che aveva ambizioni e peso per poter divenire capoluogo.

Nella scelta del capoluogo influì la presenza di un uomo politico di peso ennese Napoleone Colajanni, molto vicino al regime. Per i sostenitori del partito del sì la città trarrà benefici economici e turistici dalla scelta. Favorevoli all’annessione al libero consorzio etneo anche M5S e il Pd.

Anche a Niscemi ha vinto il partito del sì ma il quadro è molto differente da Piazza Armerina. Le urne semivuote, hanno votato 2.500 cittadini su 25mila aventi diritto, segnalano un generale disinteresse della città nei confronti della questione. Già il consiglio comunale, come prevede la legge regionale 8 del 2014, si era espresso favorevolmente per lasciare l’area nissena e approdare nel consorzio etneo. Favorevole anche il Pd locale con in testa l’onorevole Giovanni Burtone ma ciò non è bastato per portare gli elettori al voto.

A Gela si respira tensione. In città prevale l’intenzione di staccarsi da Caltanissetta e raggiungere il libero consorzio etneo. Un referendum è stato già indetto lo scorso 13 luglio e vi partecipò il 36% degli aventi diritto votando in massa per il sì. Quella votazione è finita nell’occhio del ciclone. Infatti si svolse seguendo le regole dello statuto comunale e di conseguenza per essere valido dovrebbe prevedere un quorum del 50%.

Ma per il primo cittadino Angelo Fasulo si tratta di un referendum confermativo e quindi non avrebbe bisogno di un quorum. La vicenda è ancora al vaglio dei dirigenti regionali e dell’assessorato agli Enti Locali. Non si hanno ancora certezze in merito e Gela rimane sospesa, come la riforma prevista e proclamata da Crocetta, tra i dubbi e le incertezze.