Conflitto all’interno dell’area delle professioni sanitarie

Conflitto all’interno dell’area delle professioni sanitarie

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Da quasi un anno le pubblicazioni di interesse sanitario trattano il cd “ problema” della guerra tra medici ed infermieri, tra radiologi e tecnici di radiologia, tra odontoiatri e odontotecnici e così via. Il tutto guarnito da dichiarazioni dei massimi esponenti di società scientifiche, da presidenti di ordini e di collegi, da semplici medici e da semplici infermieri, ettcc. E non mancano prese di posizioni di esponenti politici che, più preoccupati di mantenere il loro bacino di voti, ora in un senso e ora in un altro rilasciano dichiarazioni altisonanti con caratteristiche rivoluzionarie, ma che come riporta Ivan Cavicchi sono rivoluzioni di carta, cioè apparentemente poste in forma di progetti di legge e di decreti, ma che infine lasciano soli i singoli sanitari di fronte a persone che richiedono assistenza e buone cure. A tutto questo si aggiungono rivalse dei sindacati, normalmente a protezione di chi già ha un lavoro, che preoccupati del blocco dei contratti, non si accorgono che il mondo è cambiato, così pure le persone ed in ultimo anche i paradigmi della medicina, intesa non solo quella praticata dai medici ma di tutta la scienza sanitaria.

I singoli professionisti, ciascuno con le proprie competenze, da sempre hanno lavorato insieme per assistere e curare gli ammalati. Sempre più frequentemente si è stabilito un rapporto di reciproca fiducia e di amicizia e, aldilà dei propri titoli accademici, si è sempre stati pronti all’assunzione delle proprie responsabilità. È pur vero che le università non hanno saputo gestire al meglio i corsi universitari delle professioni sanitarie, mi riferisco non ai singoli insegnanti, ma al fatto che ogni singola scuola ha costruito percorsi universitari diversi tra loro, senza uniformità nazionale; ragion per cui ad esempio l’infermiere laureatosi a Padova ha seguito un programma di studi diverso da chi si è formato a Brescia. Se è pur vero che esiste una AUTONOMIA dei singoli atenei, è pur vero che sarebbe stato opportuno un piano di studi unico per tutto il paese, avendo bene a mente che ogni titolo conseguito presso una scuola universitaria certifica una competenza unica.

L’argomento trattato in quest’ultima riflessione ha generato confusione tra le competenze acquisite, specialmente quando i docenti delle scuole infermieri sono stati dei medici, che spesso hanno insegnato nozioni di medicina e non avendo le giuste competenze del fare l’infermiere non hanno trasmesso il sapere proprio della professione di pertinenza della scuola.

Per finire, trovo fuori luogo il motivo delle controversie tra le singole figure sanitarie, così pure la rivoluzione a colpi di leggi e decreti, se prima non ci si interroga sulla corretta acquisizione delle giuste competenze.