Patto di stabilità e bisogni in sanità

Patto di stabilità e bisogni in sanità

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Finalmente è stata approvata dal Parlamento Italiano l’ennesima “finanziaria” che oggi ha cambiato il nome in Patto di Stabilità, ma che in altre parole è una vecchia legge finanziaria. All’interno di questo voluminoso provvedimento ci sono numerose norme, alcune delle quali di certo “buone” per i cittadini, altre le definisco ”poco buone” e in particolare per la professione che svolgo preoccupanti.

Prendendo in esame l’argomento Sanità è opportuno che tutti i cittadini, sia pazienti che professionisti sanitari, sappiano che il tanto annunciato incremento di fondi per il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) non ha avuto quanto i tecnici avevano previsto e cioè i 113 miliardi di euro. Infatti si è arrivati a 111 miliardi per il 2016, rispetto ai 109,7 del 2015. Tutti sappiamo quanto mantenere i livelli assistenziali reali sia oggi molto difficile, mi riferisco all’elevato numero di esami e di farmaci che i cittadini  devono pagare, con il risultato che molti pazienti sempre più chiedono  a noi medici di non prescrivere molti farmaci ed esami (anche quelli giudicati utili), perché non hanno soldi per pagarli e ancora più spesso la tanto decantata “aderenza alla terapia” spesso non può essere raggiunta proprio per motivi economici.

Ciò che mi preoccupa è una nota dell’Ufficio parlamentare al Bilancio che sottolinea che dal 2017 lo stato dovrà ridurre il contributo sul fondo della sanità fino a raggiungere i 106 miliardi di euro, in sostanza 4 miliardi in meno. Chi dovrebbe ripianare questa riduzione mettendo di tasca propria saranno le Regioni. Ebbene pensate come dovranno e potranno fare le regioni meridionali, povere e disastrate come lo sono effettivamente, a incrementare i fondi necessari? E qui si pone il problema, spesso da me menzionato, della questione meridionale che il governo centrale e le regioni settentrionali fingono di non conoscere.

Mentre il governo chiede sacrifici ai cittadini, come se quelli del sud fossero nelle stesse condizioni economiche dei settentrionali, emergono nuove necessità, alcune reali e spontanee ed altre indotte. Cerco di essere più chiaro: ci sono malattie che sono più frequenti in alcune regioni e ancora non debellate, pensate alle tante malattie infettive gravi quali l’epatite C, la brucellosi in Sicilia, etc. Altre prodotte dall’inquinamento atmosferico e dell’ambiente, tra queste molte malattie degenerative e tumori, pensate alla “terra dei fuochi”. Ma un altro grido di allarme oggi viene lanciato da molte società scientifiche che dinanzi a nuove ed importanti terapie, purtroppo costose, pongono la riflessione sui costi e quindi sulla impossibilità di prescrizione a tutti.

Proprio ieri la società italiana di cardiologia ha fatto presente che le nuove valvole biologiche cardiache non potranno essere concesse a tutti coloro che ne avranno bisogno proprio per l’alto costo sia degli esami genetici che devono assicurare la tollerabilità sia delle valvole stesse. Ed allora in queste poche righe desidero far presente: è già scoccata e decretata la fine del sevizio sanitario solidaristico? Dobbiamo accettare le due sanità: una per i ricchi ed una per i poveri? A questo i tanti medici che lavorano onestamente e servono la professione con amore non ci stanno, ma altrettanto devo dire che da soli non abbiamo possibilità di ribaltare questo trend, serve l’aiuto e l’alleanza di tutti i cittadini. Quest’ultimi in occasione del recente sciopero dei medici hanno capito e compreso e in tanti hanno dato la loro solidarietà; forse non è bastato ed allora ci sarà bisogno di azioni più concrete e forti.

I medici già stanno riscendendo in campo, speriamo bene!!