Quando la Rivoluzione Ungherese portò Puskás a Catania. Il limbo del tempo tra calcio e guerra

Quando la Rivoluzione Ungherese portò Puskás a Catania. Il limbo del tempo tra calcio e guerra

CATANIA – Lamine Yamal contro l’Espanyol, Declan Rice contro il Real Madrid, Alessandro Deiola contro il Venezia. Sono solo alcuni dei gol candidati al Puskás Award 2025, il premio alla rete più bella dell’anno. E se vi dicessimo che esiste un filo invisibile che lega tutti questi gol a Catania?

Il gol più bello del mondo passa da Catania

Per scoprirlo bisogna tornare indietro nel tempo. Molto indietro. È il 16 dicembre 1956 quando, alle porte dello stadio Cibali, arriva un pullman diverso dagli altri. Viene da lontano, lontanissimo. Da Budapest. Pensate che se a dicembre la città convive con il gelo, Catania lamenta invece i suoi 17 gradi invernali. Due mondi opposti per clima, cultura, storia. Eppure destinati a incontrarsi.

In Ungheria, in quei mesi, non si gioca solo a calcio. Si fa la Rivoluzione. Il 23 ottobre 1956 le manifestazioni studentesche contro il regime comunista e l’influenza sovietica si trasformano in una vera e propria rivolta. Il 4 novembre, i carri armati dell’Armata Rossa soffocano la rivoluzione nel sangue. Migliaia di morti, repressione, paura.

Ed è proprio in questo scenario che entra in scena il calcio. A Budapest milita una squadra leggendaria: l’Honvéd, la “Squadra d’Oro”. Il club poteva contare su fenomeni dell’epoca come Kocsis, Hidegkuti e Puskás. Esatto proprio quel Puskás, quello del premio, del Real Madrid, per i più nerd anche dell’Icon di Fifa. 

In Sicilia, il club rossazzurro stava vivendo una fase di rifondazione. Alla guida c’era la triarchia composta dal presidente Agatino Pesce e dai vicepresidenti Giovanni Di Stefano e Michele Giuffrida, che affidarono la squadra a Ernesto Matteo “Gipo” Poggi. Arrivarono rinforzi importanti e il Catania sfiorò una storica promozione, svanita all’ultima giornata con una sconfitta all’87’ contro il Modena. 

La diaspora dell’Honved

A Budapest i giocatori dell’Honvéd cercavano invece qualcosa di più grande: la libertà. Perché tra i proiettili, la formazione di Puskás si gioca gli ottavi della Coppa dei Campioni – la vecchia Champions – contro il Bilbao. Dopo una sconfitta per 3-2, la guerra comincia a far paura ai calciatori, ed ecco così come molti si rifiutano di tornare. È l’inizio della diaspora che passerà proprio per Catania. Da lì a poco l’Honved finirà praticamente di esistere per come era conosciuta.

L’amichevole

E in un limbo tra dolore e distruzione, il calcio riesce ad unire quelle storie diverse. La guerra, la politica vengono messe da parte per giocare, 90 minuti che si scindono dal tempo, dalla realtà. L’Honved decide di organizzare un tour italiano e arriva dunque al Catania avvolto dai pensieri, dai fantasmi. Una stretta di mano ed ecco che tutto scompare. Non si parla né italiano né tanto meno ungherese. Si parla calcio in italiano, futball in unghese, futbol universalmente. E si gioca, ci si diverte. La partita finirà 9-2 per l’Honved con tanto di gol da 50 metri di Puskas. Uno dei più grandi calciatori ad aver mai segnato su quel campo. Ma il risultato contava poco. Per i catanesi e per gli ungheresi.

Perché tra quei 17 gradi circa si era tornati bambini, umani. Niente urla, paure, polemiche, guerre. Solo calcio tra due posti tanto, tanto lontani ma in quel momento vicinissimi.