A Catania conclusa operazione “Ghenos”. Smantellata banda di tombaroli che “incassavano piu dei piu grandi musei”

A Catania conclusa operazione “Ghenos”. Smantellata banda di tombaroli che “incassavano piu dei piu grandi musei”

CATANIA – Un sistema criminale articolato, radicato nel territorio e capace di muovere un mercato illecito di dimensioni industriali. È quanto emerge dall’operazione “Ghenos” condotta dai Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, che ha portato all’esecuzione di misure cautelari e a sequestri di straordinario valore nel contrasto al traffico di beni archeologici. L’attività investigativa, avviata nel 2022 e conclusa nel 2024, ha interessato un’area estesa tra Calabria e Sicilia, con ramificazioni anche fuori dai confini nazionali, ricostruendo l’intera filiera del traffico: dagli scavatori clandestini fino ai canali di commercializzazione legale e illegale.

Nella mattinata del 12 dicembre, dunque oggi, in Calabria e Sicilia, sono state eseguite misure cautelari nei confronti di 11 persone: due sottoposte alla custodia in carcere e nove agli arresti domiciliari. Contestualmente sono state effettuate perquisizioni e sequestri con l’impiego di oltre 80 militari, con il supporto dei reparti specializzati dell’Arma. L’indagine ha fatto emergere un’associazione per delinquere finalizzata a scavi archeologici illeciti, deturpamento di siti di rilevante interesse storico, furto e ricettazione di beni culturali, con l’aggravante del metodo mafioso e dell’agevolazione di una cosca operante nel territorio crotonese.

Scavi clandestini e doppio mercato illecito

Gli investigatori hanno documentato un’attività sistematica di scavo clandestino in importanti aree archeologiche, tra cui siti di rilevanza nazionale. Il gruppo operava secondo una rigida spartizione di ruoli: i cosiddetti “tombaroliindividuavano e depredavano i siti, mentre intermediari specializzati curavano la selezione, il trasporto e la successiva immissione sul mercato dei reperti. Accanto al traffico di materiali autentici, l’indagine ha portato alla luce un secondo filone illecito: la falsificazione di reperti archeologici, destinati anch’essi al mercato antiquario. Per questo scopo erano attivi veri e propri laboratori, sequestrati nel corso dell’operazione, dove i manufatti venivano alterati o riprodotti per aumentarne il valore commerciale.

Sequestrati metal detector e reperti per milioni di euro

Nel corso delle perquisizioni sono stati sequestrati circa 10.000 reperti archeologici, oltre a 60 metal detector ad alta tecnologia, strumenti utilizzati per una ricerca sistematica e “scientifica” dei siti da depredare. Un numero che, secondo gli inquirenti, restituisce l’immagine di un’organizzazione strutturata, dotata di mezzi e competenze specifiche. I tombaroli agivano entrando in aree di scavo, già perimetrate, e con gli strumenti riuscivano ad intercettare beni mai scoperti prima. Una parte significativa dei reperti è stata recuperata prima della definitiva dispersione sul mercato. Il valore complessivo del materiale sequestrato è stato stimato in circa 17 milioni di euro, confermando l’esistenza di un’industria criminale capace di generare profitti ingenti.

La filiera internazionale del traffico e il coinvolgimento delle forze dell’ordine

L’attività investigativa ha consentito di risalire l’intera catena di commercializzazione: dai luoghi di scavo in Calabria e Sicilia fino a mediatori, antiquari e case d’asta. I reperti venivano immessi sul mercato attraverso un meccanismo di “ripulitura” documentale, sfruttando canali apparentemente leciti in Italia e all’estero, con destinazioni individuate anche a Roma, Londra e Monaco di Baviera. Un sistema che faceva leva sulla vulnerabilità dei controlli e sulla difficoltà di distinguere, per l’acquirente finale, un bene lecito da uno proveniente da scavi clandestini, una volta corredato da certificazioni di comodo. Nel corso dell’indagine sono emerse anche responsabilità individuali che hanno portato all’adozione di misure cautelari nei confronti di due appartenenti alle forze dell’ordine. Secondo quanto precisato dagli inquirenti, non risulta che abbiano sfruttato il loro ruolo istituzionale per compiere le attività illecite, ma la loro posizione è stata comunque ritenuta rilevante ai fini investigativi.

Le dichiarazioni del procuratore Curcio

Commentando l’operazione, il procuratore distrettuale di Catania Francesco Curcio ha sottolineato il giro d’affari sviluppato dal gruppo: “Il nostro consulente ha stimato in circa 17 milioni di euro il valore dei reperti sequestrati. Parliamo di un’industria criminale di dimensioni enormi, capace di muovere cifre superiori ai 15 milioni di euro, con ramificazioni nazionali e internazionali. Incassavano piu di qualsiasi altro grande museo archeologico”.

Una battuta anche sulla vulnerabilità dei siti archeologici, non solo siciliani: “La Sicilia è ricca di siti archeologici e sono molto vulnerabili. Andrebbero implementati anche gli sforzi finanziari: dico solo che i 60 metal detector rinvenuti sono stati dati agli uffici competenti del ministero perché ne sono privi”. In base a quanto emerso dalle indagini non c’è coinvolgimento della mafia siciliani in questa attività”.