Cedu, l’Italia condannata per indagini insufficienti sulla morte di un giovane caporale siracusano

Cedu, l’Italia condannata per indagini insufficienti sulla morte di un giovane caporale siracusano

ITALIA – La Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per violazione del diritto alla vita in relazione alla morte di un caporale dellEsercito, rilevando che “le autorità preposte non abbiano condotto un’indagine efficace sulle circostanze della sua morte”.

Lo Stato dovrà quindi versare alla madre del militare 42 mila euro a titolo di risarcimento per il danno morale.

La morte dell’uomo

L’episodio risale al 6 luglio 2014, quando, intorno alle 6.30 del mattino, un sergente in servizio di ronda nella caserma Camillo Sabatini di Roma trovò il corpo del giovane caporale, di cui la sentenza non riporta le generalità (chiaro però il riferimento al caso di Antonino Drago, originario del Siracusano), nel cortile antistante la palazzina degli alloggi.

Le prime indagini conclusero per un suicidio. La madre del militare, però, non ha mai ritenuto credibile questa versione e nel corso degli anni ha ottenuto più riaperture dell’inchiesta, fino a rivolgersi alla Cedu sostenendo che le autorità italiane non avessero fornito una ricostruzione adeguata delle cause della morte.

La condanna

Nella sua decisione, la Corte precisa che la condanna non deve essere “interpretata come un’indicazione che la Corte stia valutando le dinamiche dell’incidente e le cause della morte e stia prendendo posizione al riguardo”.

Tuttavia, analizzando il materiale disponibile, i giudici affermano che “non può concludere che la spiegazione secondo cui la morte del caporale sia stata causata dal suicidio mediante salto dalla finestra dell’edificio in cui alloggiava possa essere considerata sufficientemente convincente”.

La sentenza

La sentenza evidenzia inoltre che l’inchiesta italiana ha mostrato “carenze che hanno compromesso l’accertamento dei fatti lasciando senza risposta questioni importanti”, e che vi è stata “mancata adozione di misure ragionevoli e sufficienti per garantire la conservazione delle prove rilevanti”.

Una condanna che non entra nel merito della dinamica della morte, ma che sottolinea le responsabilità dello Stato nella gestione delle indagini.