Incontro con l’opera di Giuseppe Fava: al “De Nicola” di San Giovanni La Punta focus sul giornalista, artista e uomo libero

Incontro con l’opera di Giuseppe Fava: al “De Nicola” di San Giovanni La Punta focus sul giornalista, artista e uomo libero

SAN GIOVANNI LA PUNTA – La voce di Giuseppe Fava continua a parlare, a interrogarci, a smuovere le coscienze. E lo fa non solo attraverso i suoi articoli e il suo instancabile impegno civile, ma anche mediante i suoi dipinti, capaci di raccontare la realtà con una potenza visionaria e, allo stesso tempo, profondamente concreta. Ieri mattina, le studentesse e gli studenti dell’ITET “De Nicola” di San Giovanni La Punta hanno partecipato a un interessantissimo incontro dedicato al grande giornalista ucciso negli anni Ottanta per mano della mafia, e oggi saranno accompagnati alla Galleria d’Arte Moderna dove visiteranno la mostra delle sue opere pittoriche organizzata dall’Accademia di Belle Arti di Catania, insieme alla Fondazione Fava.

“Fava non solo informa: interroga e seduce”

Ad aprire l’evento è stata la professoressa Tiziana Nicolosi, docente di Storia dell’Arte, che ha spiegato ai ragazzi il senso di questa esperienza: “Approcciarsi direttamente alle opere è qualcosa di prezioso. I dipinti di Fava attingono a piene mani alla realtà e contemporaneamente la trasformano in un universo immaginifico. Per gli studenti – ha sottolineato – è un’occasione rara e completamente gratuita per confrontarsi con un autore che pone tante domande, interroga e seduce“. Curiosità, sorpresa e stupore hanno caratterizzato la preparazione svolta in classe: “Il suo stile, espressionistico e a tratti caricaturale, per loro è nuovo – spiega la docente  –. Lo abbiamo collegato alle grandi esperienze artistiche europee del Novecento, perché la pittura di Fava sicuramente si connette con le grandi manifestazioni pittoriche di quel periodo”.

La memoria come impegno: la testimonianza della nipote, Francesca Andreozzi

Il momento più intenso dell’incontro è stato l’intervento della dott.ssa Francesca Andreozzi, nipote di Fava e presidente della Fondazione. Con voce ferma, ha ripercorso i giorni successivi all’omicidio del 5 gennaio 1984, evidenziando come il pericolo più grande fosse l’uccisione della memoria: “Subito dopo la sua morte – ha raccontato – iniziarono a circolare voci infamanti, costruite per sviare l’opinione pubblica. Era il modo più efficace per delegittimare il suo lavoro, per farlo morire ancora“. Andreoli ha spiegato come la Fondazione sia nata proprio per contrastare questo rischio, portando Fava nelle scuole, nei teatri, negli incontri pubblici, affinché la sua figura rimanesse limpida e presente.

Depistaggi, silenzi e una città divisa

Il racconto della presidente ha restituito un’immagine nitida della Catania degli anni Ottanta, spaccata tra chi negava l’esistenza della mafia – istituzioni incluse – e chi, invece, aveva iniziato a riconoscere nella voce di Fava un luce di verità. “Ci fu chi lo definì ricattatore, donnaiolo, colluso“, ricorda Andreoli. “Accuse assurde, necessarie solo per rendere credibile il depistaggio. Le prime indagini mirarono più a sporcare la sua figura che a cercare i veri mandanti“. Eppure, accanto al fango, c’era un fermento nuovo: quello dei giovani redattori de I Siciliani, pronti a continuare il lavoro del loro direttore .”Molti avevano la vostra età“, ha spiegato agli studenti. “Non sapevano nulla di giornalismo, ma avevano fame di giustizia“.

Il giornalismo come responsabilità

Tra i momenti più emozionanti la lettura da parte di Andreozzi del celebre editoriale del 1981, oggi manifesto etico nelle scuole di giornalismo. Fava scriveva: “Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, previene la violenza, tiene desta l’attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo”. Parole ancora attualissime, che costarono a Fava il licenziamento immediato dal Giornale del Sud, proprio perché troppo scomode per i poteri economici e mafiosi che controllavano il quotidiano. “Lo definivano giornalista scomodo“, ricorda la nipote. “Ma lui non era scomodo. Erano gli altri a sentirsi scomodi di fronte alla verità“.

La mafia oggi e la responsabilità individuale

Non è mancato un forte richiamo al presente: “La mafia non spara più come prima, ma c’è ancora“, ha affermato Andreozzi. “E tocca a voi capire dove si nasconde, come si infiltra, come si riconosce“. Il discorso ha toccato anche il tema delle fragilità che alimentano la criminalità organizzata: “La mafia recluta tra chi non ha nulla – ha spiegato – tra chi non si è mai sentito riconosciuto“, tra chi la scuola o la famiglia non sono riusciti a riscattare socialmente. Proprio per questo ha insistito sull’importanza dello studio, della partecipazione, della consapevolezza: il dovere di ciascuno di noi – come insegnava Fava – è fare bene il proprio mestiere, con serietà, con etica e coraggio.

L’incontro si è svolto in un clima di attenzione profonda: gli studenti, ascoltando la testimonianza diretta della nipote, hanno percepito la dimensione umana, artistica e civile di Giuseppe Fava non più come un ricordo, ma come un insegnamento attuale, vivo, tanto da scaturire in loro tanta riflessione e numerose domande che hanno contribuito a creare un ricco e vivace dibattito.

La giustizia comincia dai semplici gesti quotidiani e la verità richiede coraggio perché chi non ha paura muore una volta sola.