Non è un appuntamento al buio quello con la scrittura di Roberta Recchia, inchiostro d’onore del bestseller “Tutta la vita che resta“, il romanzo vincitore del premio narrativa e il premio copertina “Massarosa 2024”, oltre al premio “Io donna”, il premio “San Salvo” e il premio “Severino Cesari” (quest’ultimo è arrivato terzo in classifica).
Il romanzo è stato tradotto in 17 paesi e ha conquistato 150.000 lettori. La storia, lo stile e le emozioni suscitate giustificano il successo dell’esordio letterario di Roberta Recchia considerato il caso editoriale del 2024.
Con “Io che ti ho voluto così bene” il talento della scrittrice romana viene confermato in questa brillante prova stilistica, già evidente nel romanzo d’esordio.
Nel titolo si condensa l’essenza del progetto letterario. Arriverà il giorno in cui le nostre labbra pronunceranno la frase che domina la copertina di un romanzo generazionale ispirato dal silenzio che, come l’amore, “move il sole e l’altre stelle”.
È indubbio che l’uso della parola sia determinante nel processo rievocativo della storia, esiste però un luogo senza nome dove il silenzio celebra se stesso. Lì, è possibile trovare la madre della verità nascosta per pudore di mostrarsi così come è stata attesa, fortemente cercata. A nessuno piace mostrare le piaghe dell’anima, eppure se queste sono sussurrate e mai gridate, leggerle o ascoltarle equivale a una gratitudine rimandata per anni.
L’adolescenza viaggia veloce, ci sarà poco da aspettare. Luca la indossa come una divisa uguale a quella degli altri suoi coetanei. Luca ha quattordici anni quando all’improvviso il riflesso contrario di un raggio di sole lo costringe ad allontanarsi da casa.
I difensori della giustizia suonano alla porta, una ragazza è scomparsa nella località di mare dove la stagione vorace di luce regna per il ritaglio di tempo che le è stato assegnato. A ragione di quanto accaduto, sarà bene che il ragazzo sparisca per un po’ da quel groviglio di indagini che potrebbero avvelenare la sua pelle di latte. Luca andrà al Nord, ospite dello zio paterno Umberto, un professore, della zia Mara e della nonna Caterina.
L’isola all’ombra della bussola perduta prolifica una quantità generosa di zattere pur di non permettere al mare aperto di tradire la speranza, l’àncora preziosa che un giorno riporterà indietro Luca, il naufrago nato due volte per non morire mai più. La piccola età scivola agile nella pianura accogliente, da un giorno all’altro il sentiero diventa timida collina, poi cresce vetta di sfida, e infine sarà tetto del mondo.
Sono fragilità in dote ai semi di uomini prima di fissare la bandierina sulla cima dell’io maturo e guardare l’orizzonte con occhi liberi da illusioni.
Intanto Luca non conosce il motivo del suo trasloco, lui è solo un arto della valigia obbediente ai chilometri davanti a sé.
Luca vive la sua adolescenza come un esperimento andato a male, solo il tempo che avanza senza volto saprà riconoscere il peso dell’errore che un giorno, forse, riabiliterà le lancette sprecate. Una nuova scuola, nuovi amici, la sua camera lontana chilometri di vita appena fuori dal guscio, Luca Nardulli è soltanto il fratello di chi ha le mani sporche di sangue.
“Del futuro non sapeva quasi niente, però i dolori del passato gli avevano concesso di tornare finalmente a respirare. Il ricordo di Betta, che sarebbe rimasta ragazzina per sempre, lo avrebbe accompagnato per il resto della vita. Eppure adesso essere felice gli sembrava di nuovo possibile. Per tanto tempo tutto gli sarebbe apparso simile al cielo di quella mattina, mentre l’aria lo sfiorava, calda, e lui correva giù lungo la scalinata, la musica che suonava forte nelle orecchie”.
All’improvviso il sipario abbassato non ne può più di rimanere ai margini della storia. La ragazza uccisa sulla spiaggia di Torre Domizia si chiamava Betta Ansaldo ed era stata il primo batticuore di Luca. Betta e la sua morte violenta per mano del fratello maggiore di Luca e dell’uomo che gli fu padre, un maresciallo coinvolto per favoreggiamento dell’azione criminale…intanto un treno per Bergamo risucchiava Luca Nardulli in una bolla di parenti incerti se proteggerlo o temerlo, tutti intorno a quel ragazzo e al mistero che si portava addosso.
Luca sarà uomo nel silenzio, con la solitudine come mantello e la speranza come bussola per risalire dal baratro cucito sulla sua pelle.
Adesso è tempo di accostare il sipario per non svelare il segreto del rimedio che quieta il lettore condotto fino a qui da una scrittura carica di tensione emotiva. Roberta Recchia ha obbligato l’inchiostro a reperire formule di salvezza a beneficio di un’adolescenza sul ciglio di un burrone che non si arrende, trema, ma rimane in piedi perché “il dolore aveva infine trovato la via”.
Chiusa tra le pareti della sua stanza, la storia di Luca riecheggia quella di molti suoi coetanei smarriti nel silenzio afono di emozioni.
“La maturità l’aveva convinto che in nessun modo la vita potesse essere semplice, che in nessun modo fosse possibile evitare delusioni, errori, dolori. Ma dalla sofferenza si poteva guarire, questo sì. Bastava solo credere nella felicità con la stessa ostinazione con cui Gianluca si risollevava tutte le volte: per lui contava solo la frescura dell’erba sotto le piante dei piedi nudi, le braccia della madre pronte ad afferrarlo, il suo dito a cui aggrapparsi. La caduta non era che uno sgambetto della vita. L’importante era tutto il resto, la corsa che lo attendeva”.
