“Memorie scritte sulla pelle” di Licianna Cartini

“Memorie scritte sulla pelle” di Licianna Cartini

Le prove generali di una prima scrittura intima e profonda meritano l’applauso corale degli esploratori di penne di nuova generazione che hanno inciampato nell’opera di Licianna Cartini (pseudonimo nato dalla fusione degli altri suoi due nomi Barbara Anna Licia), nata e cresciuta ad Asti ma che da anni vive nel Torinese.

Credit Google/Ibs

L’inclinazione alle arti letterarie sono state causa e conseguenza dell’insegnamento, una professione dalla quale si è lasciata trasportare con il vento di passione atterrato su pochi eletti. Una cattedra non è mai, e mai deve essere il regno di una didattica nozionistica avulsa dall’autenticità del singolo alunno. A due a due, le pupille fresche e cristalline come acque di laghi di montagna sono dei tramiti in cui piantare radici per i sogni principi del futuro.

Dalla cronologia temporale impressa sulla pelle nasce l’esordio letterario di Licianna Cartini che adotta la clessidra che non c’è come testimone di una rinascita con le impronte di un pianto.

Una madre, una figlia, un assemblamento di cellule ciascuna con la sua genesi e la sua scadenza. Licianna si è dovuta misurare con un appuntamento in crudele anticipo per dare l’addio alla madre. La malattia ha scelto il suo nome, si è infiltrata nella sua carne fino a devastarla con risolutezza e costanza. Ha mirato al vigore del corpo, non ha avuto pietà dell’anima sottratta al sorriso orgoglioso di camminare nel mondo.

Due giri di chiave affrontano memorie impantanate nell’album nascosto per curare e mai sostare nel silenzio sulla pelle gravemente colpita. Dentro quella casa si respira presenza. Ogni singolo oggetto la riporta in vita. È suo, le appartiene, perfino l’ombra imposta dalle finestre chiuse ha mantenuto la promessa di condividere il grigio con il perimetro di vuoto che allaga pareti e pavimenti ormai isole perdute nel mare di dolore.

L’anticipo di un inferno si rifiuta di rivelare quale sarà la prossima mossa del suo piano infame. Un’anonima benedizione lascia che Licianna ritrovi due vecchi diari della madre le cui pagine ripercorrono a passo di gambero le sue primavere felici. A sfogliare quelle ali di carta ingiallita, sembra di assistere a una risonanza dei dipinti di Renoir, il più gioioso dei pittori che offriva al mondo la sua generosa orchestra di luce e colore.

“Strano come il passato torni a parlarti nel presente a partire da piccole suggestioni, quando i sensi sono allertati da emozioni che pulsano forte nelle vene. Potrebbe trattarsi di una mera coincidenza, pensai quando il lampadario di Nemo rovinò a terra. Eppure l’avevo trovata davvero curiosa, come se fosse
tutt’altro che casuale, come se quella coincidenza contenesse un messaggio che stava a me interpretare”.

Quando la malattia trafigge come la spada di un cavaliere medievale, il sole si addormenta e la luna veglia sulle notti affidate ai fantasmi travestiti di speranza.

Lunga e complessa è la drammatica sequenza della via crucis di una madre, malata terminale, fino al momento dell’addio avvenuto nel novembre 2023: la sua mano nella mano di Licianna spende le ultime forze prima di abbandonarsi alla volontà dell’azzurro cielo.

Indegnamente la malattia è diventata protagonista di pagine sottoposte a un intenso traffico di diagnosi e cure, referti medici con la missione di spaventare perfino gli incubi incastrati dentro un tunnel.

“Tutto ciò che non si conosce spaventa. La paura agisce come un’onda sul bagnasciuga, invade, si ritira per tornare ad invadere altro spazio. La paura investe tutti i campi. Parte del corpo, perché è il protagonista, è lui che ha tradito il patto della salute, ma poi investe tutti gli altri ambiti della vita. Intacca i rapporti interpersonali, perché la paura ti fa omettere racconti e preoccupazioni e finisce che agli altri mostri solo una parte di te, nascondendo proprio quella parte che avrebbe bisogno di uscire per poter guarire”.

Quando il mostro trova dimora anche nel corpo di Licianna, l’alba si trascina a forza pur di raccontarsi al sole, ancora una volta e per tutte le volte che le saranno concesse.

Il racconto di Licianna si infittisce con un doloroso mosaico di particolari sulle fasi della malattia, luce e nebbia si danno il cambio, ma è così difficile sottrarsi alla sentenza nefasta senza nessun colpevole.

La malattia non arriva da sola. Porta con sè un bagaglio di strumenti utili a scontrarsi con la dichiarazione di guerra giunta senza preavviso.

Licianna fotografa l’impatto con la battaglia, ne denuncia il potere maligno di annientare ogni cellula del corpo, esalta le conquiste terapeutiche della scienza e si inchina al privilegio di sentirsi sorretto dall’amore dei propri cari, luce nei giorni di tenebra.

A voce ferma il coraggio di Licianna infiamma le righe del suo esordio letterario fitte di resilienza inattaccabile da nessuna cellula impazzita. Il corpo può appassire, l’anima abbraccia il cielo con le ali che fino a quel momento non ha mai saputo di possedere.

Licianna non sarà mai sola perché quel grembo che un tempo le fu coperta e scudo contro le malvagità del mondo, oggi e per tutti i giorni in credito con lei sarà alito di vita “sulla sua pelle’.

La voce affidata alla carta viene amplificata tanto da raggiungere il corpo consumato dal dolore, ignorato da chi non sa riconoscere il peso delle prove. Quelle che contano davvero. Le sole che meritano uno sguardo ripetuto più volte.

Sarà una sfida alle potenzialità dell’eco emotivo, per quale, tra le tante vie d’uscita dal tunnel sia sensibile al peso muto delle ferite.

Intanto che il tempo della rinascita si farà attendere, le cicatrici segneranno il cammino, ma un giorno fioriranno come memoria di ciò che è stato superato.

sara