ITALIA – È il 27 giugno 2025 quando Gianmaria Faveretto, uno studente 19enne di Padova decide di “boicottare” la Maturità, rifiutandosi di sostenere l’esame orale poiché già aritmeticamente promosso con le prove precedenti. Un gesto, una provocazione contro un sistema intero che per molti, tanti, non funziona più da decenni.
Dal gesto di Gianmaria è partita una vera e propria “rivoluzione del rifiuto” con altri studenti prosecutori della campagna lanciata a Padova. Poi il freno, la norma del Ministro dell’Istruzione del Merito, Giuseppe Valditara: introdurre la bocciatura per gli studenti che si rifiuteranno di sostenere la prova orale dell’esame di Stato volontariamente.
“Con questa norma voglio dare un forte messaggio in linea con la Costituzione – ha spiegato al Corriera della Sera il Ministro -. C’è un problema importante nella società italiana ed è il rapporto con la regola. Troppo spesso non è chiaro che la regola si rispetta, così come si rispettano le persone: all’esame ci sono commissari che dedicano il proprio tempo ad una funzione sancita dalla nostra Costituzione”.
“Un messaggio diseducativo che la legittimazione di tali gesti rischia di lanciare – ha precisato -. Se si consentisse di rifiutare senza conseguenze di sottoporsi all’esame, sarebbe legittimo rifiutare tutto ciò che non ci piace“. “Dobbiamo piuttosto insegnare ai giovani che ci sono modalità democratiche per cambiare le regole che non ci piacciono”.
Un calderone di critiche e proteste che ha riacceso una “tenzone” secolare: la valutazione è positiva per gli studenti? Abolire il voto renderebbe più stimolante lo studio? Andiamo a vedere un po’ di dati e pareri scientifici.
La valutazione a scuola unica soluzione? I dati
Uno studio condotto in Finlandia su oltre un milione di studenti nati tra il 1980 e il 2000 ha rivelato che coloro con rendimento scolastico molto basso presentano un rischio quasi triplo di sviluppare disturbi psichiatrici in età adulta rispetto ai coetanei con voti nella media. Il rischio riguarda in particolare l’uso di sostanze, ma anche ansia e depressione sono più frequenti tra gli studenti con basse performance scolastiche.
Un’indagine condotta in Norvegia e Svezia ha mostrato che i voti sono spesso vissuti come eventi emotivi intensi, capaci di influenzare l’autostima e la motivazione. Un risultato sotto le aspettative provoca frustrazione e senso di fallimento, mentre un buon voto è visto più come conferma esterna che come frutto di apprendimento autentico.
Gli esperimenti del “senza voto”
In molte università americane, soprattutto nei corsi di Medicina, è sempre più diffuso il sistema “pass/fail” (superato/non superato). Questo modello ha mostrato di ridurre ansia e stress tra gli studenti, migliorando al contempo la soddisfazione e il senso di benessere psicologico, senza compromettere i risultati accademici.
Un recente studio pubblicato su “Studies in Higher Education” ha rilevato che l’apprendimento senza voti migliora la motivazione intrinseca e riduce il ricorso all’apprendimento superficiale, contribuendo a un approccio più profondo e consapevole allo studio.
Tuttavia, non mancano i limiti. Alcune ricerche, come quella della Copenhagen Business School, segnalano che in assenza di voti alcuni studenti provano incertezza, ansia per il futuro e difficoltà nel percepire i propri progressi. Questo dimostra quanto il cambiamento debba essere accompagnato da un contesto educativo chiaro, supportivo e orientato al feedback.
Vivere bene l’apprendimento
Oltre al sistema di valutazione, ciò che determina il benessere degli studenti è anche il clima relazionale della scuola. Studi sul concetto di “school climate” mostrano che ambienti scolastici equi, rispettosi e partecipativi migliorano l’autostima, riducono i comportamenti a rischio e aumentano la motivazione.
A Helsinki, una ricerca su oltre 100.000 studenti delle scuole secondarie ha messo in luce che gli istituti con più basse performance accademiche registrano anche tassi più alti di depressione. Questo suggerisce che rendimento e salute mentale sono profondamente intrecciati, e che un sistema meno orientato alla performance potrebbe contribuire a migliorare la salute emotiva degli studenti.
Il parere della psicologia
Sul caso noi di NewSicilia abbiamo avuto il piacere di approfondire con la Dott.ssa Valentina La Rosa: psicologa, psicoterapeuta, assegnista di ricerca e docente a contratto di Psicologia dello Sviluppo presso l’Università di Catania.
“Il voto, soprattutto in momenti di passaggio come gli esami di maturità, non è mai solo un numero ma è spesso percepito dai ragazzi come un’etichetta identitaria, un riflesso del proprio valore personale. In particolare, durante l’adolescenza, un periodo in cui si è alla ricerca di conferme e di riconoscimento, il giudizio scolastico può lasciare un’impronta significativa, influenzando l’autostima, la motivazione e persino le scelte future”.
“La scelta di alcuni studenti di non presentarsi agli orali della maturità, di cui si è parlato molto spesso in modo improprio, può essere interpretata non solo come una fuga dall’ansia da prestazione, ma anche come un gesto di protesta contro un sistema di valutazione percepito come rigido, incapace di rappresentare adeguatamente le reali competenze degli studenti o eccessivamente carico di aspettative”.
“In un’epoca in cui si parla sempre più di benessere psicologico a scuola, questa scelta dovrebbe farci riflettere su quanto il voto sia ancora oggi un elemento di forte pressione.
Detto ciò, un sistema completamente privo di valutazioni rischierebbe di privare gli studenti di importanti occasioni di feedback e di crescita. Il problema non è tanto il giudizio in sé, quanto il modo in cui viene costruito, comunicato e interiorizzato”.
“ Una valutazione formativa, che non si limiti al numero ma valorizzi il percorso, gli sforzi e i progressi individuali, può invece avere un impatto molto positivo, favorendo consapevolezza, responsabilità e motivazione.
In definitiva, più che abolire la valutazione, è necessario trasformarla in uno strumento educativo che accompagni gli studenti, piuttosto che definirli o peggio etichettarli”.