SICILIA – Oggi ricorre il 33esimo anniversario dalla Strage di via D’Amelio, in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina ed Emanuela Loi, prima agente donna a far parte di una scorta e a perdere la vita a causa della mafia.
La Strage di via D’Amelio
A meno di due mesi di distanza dall’attentato di Capaci, avvenuto il 23 maggio 1992, ci fu quello di via D’Amelio. Secondo quanto ricostruito, l’intenzione da parte della criminalità organizzata di uccidere Borsellino, risalirebbe già agli anni Ottanta, periodo in cui il magistrato seguiva le indagini sul caso di omicidio di Emanuele Basile, capitano dei carabinieri.
L’allora boss Salvatore Riina, diede il compito di spiare Paolo Borsellino a Baldassare Di Maggio, esponente del clan dei corleonesi. Infatti, scoprirono ogni suo spostamento, dalle vacanze estive nella sua villa al mare a Villagrazia di Carini alle uscite quotidiane, come recarsi in ufficio o altro.
Inizialmente, il progetto prevedeva l’uccisione del giudice tramite un fucile di precisione o un’autobomba, collocata durante il tragitto che Borsellino percorreva da casa a lavoro. Ma questa ipotesi trapelarono, “costringendo” Cosa Nostra ad escogitare un nuovo piano.
In seguito, provarono nuovamente a compiere l’omicidio, avvalendosi dei mafiosi della Noce e di Porta Nuova, che avrebbero dovuto colpirlo con delle armi da fuoco. Però anche stavolta, il piano divenne infattibile e la mafia dovette trovare altri “espedienti”.
La goccia che, come si suol dire, fece traboccare il vaso, fu la sentenza emanata dalla Corte di Cassazione, che confermava gli ergastoli del Maxiprocesso di Palermo, emessa il 30 gennaio 1992.
Prima Lima, poi Falcone e Borsellino
Da qui in poi, fu un crescendo di sangue sparso per le strade di Palermo e, più in generale, della Sicilia. Infatti, in varie riunioni svolte da Cosa Nostra e presiedere da Riina, si delinearono i nomi di coloro che stavano dando “troppo fastidio”. In primis c’era l’onorevole Salvo Lima, assassinato il 12 marzo sempre dello stesso anno, e a seguire, quelli di Falcone e Borsellino, a 57 giorni di distanza l’uno dall’altro.
Inoltre, Riina all’interno di una di questa riunioni, in cui erano presenti Giovanni Brusca, Salvatore Cancemi, Michelangelo La Barbera, Salvatore Biondino e Raffaele Ganci esternò la sua volontà di voler compiere l’omicidio il prima possibile, affidando in particolar modo a quest’ultimi due l’incarico.
Già da inizio luglio, vennero effettuati diversi appostamenti/pedinamenti, in modo che nulla andasse “storto” e che quella potesse essere “la volta buona”. Tutto partì da un primo sopralluogo in via D’Amelio, che effettuarono il capo della Famiglia di Brancaccio, Giuseppe Graviano, insieme al suo “autista” Fabio Tranchino.
Il piano studiato nei minimi dettagli
In seguito, Gaspare Spatuzza e Vittorio Tutino (sempre mafiosi di Brancaccio) rubarono una Fiat 126 color amaranto, eseguendo così l’ordine di Cristofaro Cannella (braccio destro di Graviano). Questa stessa auto fu poi portata in un “magazzino” nel quartiere Brancaccio, dove Spatuzza custodiva alcuni fusti di metallo contenenti dell’esplosivo militare del tipo Semtex-H (miscela di PETN, tritolo e T4).
A quel veicolo dopo qualche giorno vennero fatti riparare freni e frizione da un meccanico di fiducia. Successivamente, furono svolte delle prove tra Salvatore Biondino, i suoi due cugini omonimi Salvatore Biondo e Giovan Battista Ferrante (della Famiglia di San Lorenzo), con il telecomando e le trasmittenti che sarebbero state utilizzate nell’attentato.
Un paio di giorni più tardi, Raffaele Ganci insieme al figlio Domenico affidarono al nipote Antonino Galliano, impiegato come guardia giurata in una filiale della Sicilcassa e “uomo d’onore” della Famiglia della Noce, di effettuare, la domenica successiva, il pedinamento di Borsellino, come già si era verificato in precedenza anche con Giovanni Falcone poco prima della Strage di Capaci.
In ultimo, dopo un secondo appostamento in via D’Amelio, in modo da accertarsi che tutto sarebbe andato “liscio”, Biondino e Ganci completarono le ultime cose da fare, come informare chi di dovere sul giorno stabilito per l’attentato e appuntare gli elementi più importanti del piano.
Il 18 luglio mattina, Spatuzza e Tutino andarono a comprare da un elettrauto a due batterie per auto e un’antennina da collocare sull’autobomba. Nel primo pomeriggio, lasciarono la Fiat 126 e l’attrezzatura acquistata in un garage, in seguito si sono recati nella carrozzeria di Giuseppe Orofino, per rubare le targhe da un’altra Fiat 126, in modo da consegnarle a Graviano. Sempre quel giorno, Biondino diede a Ferrante un bigliettino su cui era annotato un numero di cellulare, al quale comunicare gli spostamenti di Borsellino.
Il giorno della Strage di via D’Amelio
Il 19 luglio mattina, i mafiosi delle Famiglie della Noce, Porta Nuova e San Lorenzo iniziarono il “pattugliamento” già di prima mattina nelle vicinanze di via Cilea, in cui abitava Borsellino, e via D’Amelio.
Le auto impiegate furono due, la prima con a bordo Biondino e Biondo, uno dei cugini, la seconda invece con Cancemi e Raffaele Ganci mentre Galliano, Ferrante e i fratelli Domenico e Stefano Ganci si muovevano singolarmente, a volte anche a piedi.
Questo pedinamento però fu sospeso per l’arco della mattinata, per poi riprendere nel pomeriggio, per un cambio di programma del giudice, che non andò dalla madre di mattina, per recarsi con la famiglia nella villa al mare a Villagrazia di Carini.
Ferrante, alle ore 16:52, mentre si trovava in una traversa di viale della Regione Siciliana, vide il passaggio delle tre auto blindate della scorta che stavano portando Borsellino in via D’Amelio, quindi chiamò immediatamente numero segnato sul bigliettino da una cabina telefonica, avvisando degli spostamenti.
L’esplosione
Esattamente sei minuti dopo, alle ore 16:58, attraverso un telecomando a distanza, ci fu l’esplosione della Fiat 126 rubata, contenente circa novanta chili di tritolo, proprio in via Mariano D’Amelio, palazzo in cui abitavano la madre, Maria Pia Lepanto e la sorella Rita Borsellino, e luogo in cui si trovava il magistrato che stava per andare da lei, come di consueto, ogni domenica.
Nell’esplosione rimasero coinvolti il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina ed Emanuela Loi. L’unico sopravvissuto fu l’agente Antonino Vullo, che al momento dell’esplosione stava parcheggiando una delle auto blindate.
La “Scalinata della Legalità” a Catania
Anche quest’anno, come ormai da diversi anni, il Liceo Artistico Statale “Emilio Greco”, in collaborazione con l’ANM (Associazione Nazionale Magistrati), in ricordo delle Stragi che hanno segnato profondamente e in maniera forte/indelebile ognuno di noi, ha realizzato un’installazione artistica, raffigurante una delle immagini più iconiche dei giudici Falcone e Borsellino.
La cosiddetta “Scalinata della Legalità” segue uno schema ben preciso, con vari step. I lavori, in base alla tabella, sono cominciati mercoledì 16 aprile con la preparazione dei colori di diverse gradazioni, sia dei gradini che dei pilastri. Sono seguiti, martedì 29 aprile, il ricalco del disegno preparatorio e la stesura dei colori. Poi si è passati a due stesure di colori, la prima mercoledì 30 aprile e la seconda mercoledì successivo, 7 maggio. Poi, nei giorni successivi, ovvero giovedì 8, si è passati a dipingere la parte “rossa” della bandiera e mercoledì 14 quella “verde“.
In ultimo, ci si è concentrati sulle figure degli uomini della scorta di Falcone, per giovedì 15 maggio, e quelle della scorta di Borsellino, per lunedì 19. In seguito, mercoledì 21, sono seguite diverse fasi di rifinitura, si è giunti alla sistemazione del materiale per il trasporto e giovedì 22 al montaggio, sistemando appositamente ogni “lastra” per scalino, al Palazzo di Giustizia di Catania, situato a Piazza Giovanni Verga.
L’inaugurazione si è svolta il giorno seguente, il 23 maggio, in occasione della Giornata della Legalità, in ricordo della Strage di Capaci.
L’opera, come previsto e salvo ulteriori proroghe, rimarrà nella scalinata del Tribunale di Catania anche nella giornata di oggi, per ricordare Paolo Borsellino e le vittime della Strage di via D’Amelio. La data di smontaggio finale invece è fissata per lunedì 21 luglio.
Oggi, 33 anni dopo la Strage di via D’Amelio
Nella giornata di oggi, avranno luogo in tutta Italia, specialmente in Sicilia, molteplici cortei, iniziative e manifestazioni, per rendere omaggio a Paolo Borsellino e alle vittime della Strage di via D’Amelio.