MESSINA – Gli imprenditori Alessandro Rovetta e Francesco Vecchio sarebbero stati uccisi il 31 ottobre 1990 nel sito dell’Acciaierie Megara di Catania dalla mafia, per il rifiuto di cedere alle richieste di “pizzo“.
Il duplice omicidio di Rovetta e Vecchio: qualche passo indietro
Dopo il duplice omicidio la società decise di “corrispondere a Cosa Nostra un miliardo di lire, provenienti da provviste in nero appositamente create nella gestione” della società.
Un pagamento nel quale avrebbe svolto un ruolo cruciale e di mediatore l’81enne Vincenzo Vinciullo, attualmente indagato e nei cui confronti è in corso, a Messina, una perquisizione eseguita dalla Dia e dal nucleo di polizia giudiziaria interforze della Procura generale di Catania.
La ricostruzione del duplice omicidio, fatta della Procura generale di Catania, il 9 gennaio scorso ha avocato a sé l’inchiesta, per cui c’erano state diverse archiviazioni. Il fascicolo è coordinato dal procuratore generale Carmelo Zuccaro e da due suoi sostituti, ovvero Nicolò Marino e Giovannella Scaminaci.
Il rapporto con la società Alfa Acciai di Brescia
Secondo l’accusa, successivamente al duplice omicidio, Amato Stabiumi e Ettore Lonati di Alfa Acciai, società bresciana che dopo la morte di Rovetta deteneva le quote di maggioranza della Megara, avrebbero deciso di cedere alle pressioni della cosca, versando “un miliardo di lire in nero“.
Le indagini
A fare da tramite per il pagamento, contesta la Pg di Catania, sarebbe stato l’imprenditore messinese, oggi 81enne, Vincenzo Vinciullo, che aveva svolto in passato il ruolo di agente di commercio della Megara, oggi denominata Acciaierie Sicilia. Per la Procura generale etnea, Vinciullo avrebbe avuto il ruolo di “negoziatore” tra i vertici della Megara, passata sotto il controllo della bresciana Alfa Acciai, e i vertici provinciali di Cosa Nostra di Palermo, Caltanissetta e Catania.
Sempre in base all’accusa, l’attività estorsiva sarebbe poi “andata avanti per anni”. Il nome di Vinciullo è contenuto nell’informativa “Grande Oriente“, una vasta indagine, prima della Dia e poi del Ros, sulla famiglia di Cosa Nostra di Caltanissetta, basata sulle dichiarazioni dell’infiltrato Luigi Ilardo, ucciso dalla mafia a Catania, e nella corrispondenza su “pizzini” che il capomafia Bernardo Provenzano riceveva e inviava attraverso Simone Castello.