Referendum abrogativo: il quorum non c’è, l’astensionismo sì

Referendum abrogativo: il quorum non c’è, l’astensionismo sì

ITALIA – Gli italiani sono stati chiamati a esprimersi su cinque quesiti referendari abrogativi. Ma la vera risposta è arrivata dal silenzio delle urne: il quorum non è stato raggiunto. Anzi, con una partecipazione ferma intorno al 30%, il messaggio è stato più forte dell’eventuale vittoria del Sì o del No: è l’astensione a vincere, la disillusione a urlare. E urla forte.

Questa non è solo la cronaca di un referendum fallito. È il termometro di un’Italia che sceglie – consapevolmente – di non scegliere.

È la fotografia di una resa. Una resa silenziosa, indifferente, quasi codarda. L’Italia non ha detto “no“. Ha detto “non mi interessa“. Ha detto “non so“. Ha detto “non vado“. E in democrazia, questa è la vera sconfitta.

Ha vinto l’astensionismo

Cinque schede, cinque colori, cinque temi che avrebbero potuto scuotere coscienze, sollevare dibattiti, accendere speranza. E invece no. Silenzio, apatia, indifferenza. Hanno votato in pochi. Troppo pochi per dare voce a qualunque esito.

Cinque quesiti, tutti naufragati ben prima di arrivare al merito. Non per un’espressione consapevole dell’elettorato, ma per l’assenza dell’elettorato stesso. Oltre il 70% circa dei cittadini ha voltato le spalle alla cabina elettorale. Come se non fosse affare loro. Come se la giustizia, i diritti, le regole del gioco non li riguardassero più.

Al di là di tutto, quel che rimane è questo: i cittadini hanno disertato un diritto-dovere scritto nero su bianco nella Costituzione. L’articolo 75 non è un optional: è l’architrave della democrazia diretta. Se lo abbandoniamo, affondano anche le sue fondamenta.

Il diritto al voto è uno dei pochi poteri reali che abbiamo in mano. È uno strumento giuridico, certo, ma anche un atto di responsabilità collettiva. È il gesto minimo richiesto a chi pretende di vivere in uno Stato di diritto: esercitare la sovranità che la Repubblica riconosce “al popolo”. Ma se quel popolo si gira dall’altra parte, se non partecipa, se si autoesclude, allora non è più sovrano. È suddito del disinteresse.

A chi giova il vuoto?

Qualcuno parla di boicottaggio politico. Qualcun altro di scarsa comunicazione istituzionale. Ma nessuna di queste motivazioni può assolvere l’apatia. Non oggi. Non dopo decenni in cui ci siamo lamentati della distanza tra popolo e potere, e poi, quando ci viene chiesto di intervenire direttamente su temi cruciali, ci facciamo da parte.

Il diritto non è solo forma. È partecipazione. Non c’è democrazia senza partecipazione, ma non c’è partecipazione senza consapevolezza. E il voto è l’atto più alto di autodeterminazione collettiva che conosciamo. Non esercitarlo è come firmare una rinuncia in bianco alla cittadinanza attiva.

La consapevolezza è figlia della cultura, dell’educazione civica, dell’informazione accessibile. A chi conviene davvero un popolo che non partecipa? A chi giova il vuoto?

Il quorum non è stato raggiunto? No. Ma è la soglia della coscienza civica ad essersi abbassata. La scheda non compilata è un diritto non esercitato, una voce che si spegne prima di aver parlato. È uno schiaffo al principio stesso di democrazia partecipata.

Il sistema referendario è imperfetto? . Ma non è questo il punto. Il punto è che ci stiamo abituando a essere spettatori del nostro stesso futuro. E questo è pericoloso. Perché l’indifferenza non è neutra: è complice.

L’anestesia collettiva, un popolo assopito

Dovremmo – dunque – preoccuparci. Non solo per la sorte di questo referendum ma per l’anestesia collettiva che sembra crescere ogni anno, ad ogni chiamata alle urne che non sia un derby politico.

Quando si diserta il voto, si abbandona la battaglia delle idee. Quando si evita il confronto, si sceglie la delega perpetua. Quando si spegne la propria voce, si acconsente al silenzio delle istituzioni. Ed è allora, solo allora, che la democrazia smette di essere viva. Perché una democrazia senza cittadini è solo una facciata: bella da vedere, ma vuota dentro.

E ogni volta che banalizziamo quello che è l’esercizio di un nostro diritto, fallisce anche il senso della nostra cittadinanza. Anche stavolta la pigrizia civica ha avuto la meglio.

Il problema non è il quorum

Le schede restano lì, sui tavoli, colorate e inutili. Carte non scritte. Come tante storie di questo Paese che non trovano più una penna. Ma la democrazia non si spegne in un giorno, non muore con un referendum andato a vuoto. Muore lentamente, ogni volta che diciamo: “Tanto non cambia niente”. E ci convinciamo che sia vero.

E allora no, non è un referendum che ha fallito. È il cittadino.
Il problema non è il quorum.
È che non c’è più nessuno a volerlo superare. O per lo meno, troppo pochi.