Una Repubblica senza voce: la piaga dell’astensionismo in Italia e Sicilia

Una Repubblica senza voce: la piaga dell’astensionismo in Italia e Sicilia

Il 2 giugno si celebra la nascita della Repubblica. Ma che senso ha commemorare una democrazia se la metà dei cittadini si astiene sistematicamente dal partecipare alla sua vita politica?

La Sicilia è tra i luoghi simbolo di questa crisi silenziosa.

Astensionismo in Italia: i dati

Alle elezioni europee del 2024, l’affluenza in Italia è scesa sotto il 50%: si è fermata al 49,69%. È il dato più basso mai registrato per una consultazione elettorale nazionale nella storia della Repubblica. Si tratta di un segnale grave, che non può essere archiviato come semplice “disaffezione” o stanchezza dell’elettorato.

La partecipazione elettorale è il termometro della salute democratica di un Paese. Quando metà della popolazione smette di votare, la democrazia si ammala. Le istituzioni diventano meno rappresentative, le disuguaglianze si accentuano, il dibattito pubblico si svuota.

La Sicilia, emblema della crisi

Nel Sud Italia la situazione è ancora più allarmante. In Sicilia, l’affluenza alle europee 2024 è stata del 37,5%. Nelle province di Caltanissetta, Enna e Palermo, si è scesi in alcuni seggi sotto il 30%. La regione si conferma tra le più astensioniste d’Europa. E non è un episodio isolato: il trend è stabile da oltre un decennio.

Alle elezioni regionali siciliane del 2022, ad esempio, votò appena il 48,6% degli aventi diritto. Eppure si trattava di scegliere il governo della propria regione, non di una votazione distante o percepita come marginale.

Il voto in Sicilia non è solo un atto politico: è anche un gesto sociale, spesso condizionato da fattori strutturali. La distanza fisica dei seggi per chi abita in zone interne o periferiche, l’assenza di trasporti adeguati, il disincanto generazionale, il peso della povertà educativa e informativa. Tutti elementi che si sommano e trasformano l’astensione in un fenomeno sistemico.

Giovani senza istruzione

I dati ISTAT e le analisi di istituti come Demos o Censis mostrano che l’astensionismo è fortemente correlato a condizioni di disagio socioeconomico. Non votano soprattutto i giovani, i più poveri, chi vive in aree marginali, chi ha meno accesso all’informazione di qualità.

Secondo il Consiglio Nazionale dei Giovani, nel 2024 solo il 47% degli under 35 si è detto propenso a votare. La percentuale reale di affluenza è stata anche più bassa. L’8% dei giovani si è dichiarato “molto soddisfatto” del dibattito politico pre-elettorale. La distanza tra cittadini e istituzioni è diventata abissale.

Il caso dei fuorisede è un altro nodo emblematico. Alle europee, migliaia di studenti e lavoratori fuori dal proprio comune di residenza non hanno potuto votare, salvo rare eccezioni.

Una democrazia formale, non sostanziale

La Repubblica italiana, scrive l’articolo 1 della Costituzione, “è fondata sul lavoro”. Ma è anche, inevitabilmente, fondata sul voto. Senza partecipazione, la cittadinanza perde consistenza. La democrazia resta un guscio vuoto. In Sicilia, come altrove, si rischia una frattura irreversibile tra cittadini e istituzioni.

Eppure, il dibattito pubblico nazionale continua a ignorare l’astensionismo come problema strutturale. Si preferisce parlare del “voto utile”, dei sondaggi, delle coalizioni. Come se il primo partito in Italia non fosse ormai quello del non-voto.

Votiamo

A tal proposito, l’8 e il 9 giugno gli italiani saranno chiamati alle urne per il referendum abrogativo su lavoro, cittadinanza e diritti. L’obiettivo è quello di non rimanere a guardare, che siate “per 5 no o 5 si” non ha importanza, perché ciò che è necessario per mantenere la nostra Repubblica, una Repubblica, è partecipare.