“Dimmi di te” di Chiara Gamberale

“Dimmi di te” di Chiara Gamberale

Possiede tutte le caratteristiche di una scrittura a quattro mani ma non lo è il romanzo di Chiara Gamberale “Dimmi di te”, uscito per Einaudi nel 2024 nella collana Stile Libero Big.

Quattro occhi e quattro mani: la scrittrice e il suo lettore.

Credit Pinterest

Il passato viene interrogato dopo la ricerca di un confronto rimandato al salto nel tempo maturo. Chiara, giovane e madre, la protagonista della storia dai lineamenti autobiografici, associa al trasferimento in un quartiere per famiglie “normali”, il quartiere “perbene” (il quartiere Trieste di Roma) la dissolvenza del dubbio che attanaglia l’itinerario con il malessere della crescita. Una lista di punti interrogativi meritano una selezione accurata prima di diventare una blanda soluzione del dramma ancora prima che questo accada. La sua condizione materna glielo impone. Chiara madre di Bambina, sei anni appena, riconosce di essere arrivata davanti a una porta anonima indossando un paio di scarpe sbagliate. Chiara vive a maturazione lenta nell’involucro che la contiene contro l’equilibrio emozionale di un verso poetico che nessuno ha mai letto. Il ricorso alla riparazione della svista le offrirà voci di un tempo con data certa dell’età in cui qualsiasi sogno vestiva un anticipo di futuro. Vent’anni ma solo per una volta, perché così ha deciso il sole reggente di un calore ad tempus. A luce spenta il giorno dopo di un anno che non ci è dato sapere si interroga la memoria quale unica superstite di un cielo sterile di domani.

“Tutte patologie elette a sistema.
Tentativi di fare quadrare il cerchio, di tenere insieme il batticuore con le paure e con i giorni tutti uguali, di non rinunciare a quello in cui crediamo, di restare aperti a quello in cui potremmo credere e ancora non conosciamo”.

Al puzzle interrogato sul destino di una “bambina marcia”, questo il verdetto dello specchio di Chiara, mancano molte tessere, tutte infiltrate nei fogli di un calendario scaduto. Solo per una volta sarà lei a interrogare gli anni del liceo utilizzando la strategia di un professore prossimo alla pensione: prima di lasciarlo andar via gli si chiede un ultimo abbraccio. Le sue ali si alzeranno in volo libere di scegliere su quali lidi inesplorati far riposare gli anni della lentezza.

Chiara insegue lo stesso azzurro nella ricostruzione di un passato affettivo adesso esploratore di risposte.

“Come hai fatto a crescere?
Ho chiesto in questi mesi alle mie stelle polari di quel tempo andato che non se ne andrà mai.
A tenere insieme quello che ti fa splendere e quello che ti consuma, a scegliere, a puntare tutto su un solo momento, su quell’incontro? Come fai, giorno dopo giorno, a rimanere fedele alla tua scelta, a lasciare un po’ di spazio per lo sperpero senza però permettergli di svuotare tutto di significato? Dove la metti la rabbia che avevi, dove le metti le voglie, come lo nascondi il terrore di invecchiare e la preghiera che, se deve succedere, che succeda subito, senza obbligarti prima a prendere delle decisioni? Dimmi di te”.

“Dimmi di te” chiede a Ivan, Chiara, Riccarda, Raffaello, Stefano. Cinque prove d’ascolto chiedono udienza alla “palude interiore” stagnante nel cuore di Chiara. Il desiderio incolto di un amico diventa sogno realizzato di un suo coetaneo attore protagonista della pellicola vincente.

Quel che è certo siede nella consapevolezza di farsi ago della bilancia al centro delle emozioni tradite in qualche paradiso fasullo. Per Chiara il confronto è un camice bianco che presta soccorso a una crescita inceppata nella macchina del dovere. La paura ha riversato il suo nome in un tutt’uno di passato e presente intesi come due condizioni mentali inscindibili: adolescenza e maturità fuse a caso in un girone infernale.

“Avevamo tanti sogni, ma da un certo punto in poi la vita diventa solo una, la nostra. Tu. Come te la sei sistemata? Dove la metti la nostalgia per quel tutto che è stato e dove la metti la nostalgia per quello che invece non è stato, ma avrebbe potuto essere, solo che ormai si è fatto tardi?”.

La voce dell’altro interpreta una possibilità di salvezza, forse l’ultima, da concedersi prima di un irragionevole salto nel buio. Ogni domanda rivolta all’interlocutore di turno anestetizza lo sguardo miope sul domani.

Chiara assorbe le identità una diversa dall’altra ma comunque tutte, proprio tutte, riportano a casa un primo sintomo di fiducia, unico contatto senza nome per affrontare la mediocrità delle sue relazioni sociali.

“Dimmi di te” è un’analisi interiore diffusa tra pareti anonime che, secondo il codice deontologico avrebbe dovuto essere veicolo di tecniche specifiche di un approccio psicologico.

Ivan, Riccarda, Raffaello, Paloma affidano la loro voce a un nastro registratore indifferente ai segni del tempo.

Le storie nascono ambiziose di perfezione per scivolare poi in una dipendenza premonitrice del crollo. L’ inquieto io sarà congedato con un addio esploso da ogni intima particella sottomessa al duetto “anima e cuore”. La deflagrazione della crisi somiglia a un fiume in piena verso le acque stantie in cui nessuno ha mai nuotato senza invischiarsi in uno dei tanti fantasmi ossessivi creduti guasti della memoria.

Chiara indaga nelle storie degli altri prima di indossare un nuovo vestito alla fine del viaggio in ascolto di prove esistenziali. È stata lezione di una cattedra a più vociche registrerà un profitto finale riservato al lettore.

sara