C’è un vuoto assordante che pesa più di mille parole. È quello che avvolge le stanze rimaste intatte, i letti non più disfatti, i giocattoli impolverati e le fotografie sui comodini incorniciate come altari. È il silenzio dei bambini scomparsi.
Oggi, 25 maggio, si celebra la Giornata Internazionale dedicata a loro. Ma “celebrare” è un verbo stonato. Perché questa non è una festa. È una ferita aperta. Un dolore collettivo che non possiamo più permetterci di ignorare, un dramma che spezza il cuore e incrina la nostra umanità.
Giornata dei bambini scomparsi: un dolore collettivo
Un bambino scomparso non è solo una notizia al telegiornale, un manifesto appeso a un palo, un volto su un sito web. È una crepa nella civiltà, la misura della nostra incapacità di proteggere chi più ha bisogno.
Ma è anche – e soprattutto – una madre che non dorme più, che continua a cucinare due piatti invece di uno, come se da un momento all’altro quella porta potesse riaprirsi, che la voce tanto attesa chiami “mamma“. È un padre che si colpevolizza per ogni gesto, per ogni istante in cui ha abbassato la guardia.
È una comunità che vive nell’attesa, e troppo spesso nell’oblio.
Le cifre spaventose
Secondo i dati di Missing Children Europe, ogni anno in Europa scompaiono oltre 250mila bambini. Un numero spaventoso, che equivale a quasi uno ogni due minuti. In Italia, nel solo 2023, sono stati registrati oltre 22mila casi di minori scomparsi, la maggior parte dei quali riguarda minori stranieri, ma anche adolescenti in fuga da situazioni familiari difficili, vittime di tratta, rapimenti parentali o, nei casi peggiori, di reti criminali. Tutte circostanze oscure che ne cancellano le tracce.
Dietro queste cifre ci sono volti, nomi, risate spezzate. Ci sono vestiti mai più indossati, compleanni celebrati con una torta e una sedia vuota. Non è solo un lutto. È qualcosa di più crudele: è l’impossibilità stessa di elaborare il dolore, perché non c’è una fine, solo l’attesa.
Il ruolo della società
E noi, come società, dove siamo?
Siamo lì a scorrere le notizie come fossero fiction. Siamo lì a dire “che tragedia“, ma poi a voltare pagina. Siamo lì a invocare la sicurezza solo quando la tragedia bussa alla nostra porta. Ma la sicurezza non è uno slogan: è prevenzione, è educazione, è ascolto. È investimento. È responsabilità.
Ogni bambino scomparso ci interroga. Su che tipo di mondo abbiamo costruito. Su quanto siano fragili i meccanismi di tutela. Su quanto conti davvero, nei fatti, l’infanzia.
L’infanzia dovrebbe essere sacra. Invece, è merce. È scarto. È invisibile.
Un intervento attivo
Ma non possiamo rassegnarci. Perché dietro ogni bambino scomparso, c’è ancora una speranza. E ogni speranza va nutrita con azioni concrete:
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Sostenere le famiglie, non lasciarle sole nel dolore e nella ricerca
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Finanziare e potenziare i centri di allerta, come il sistema europeo AMBER Alert
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Educare i giovani alla sicurezza e all’autotutela, con programmi specifici nelle scuole
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Garantire trasparenza, rapidità e coordinamento tra le forze dell’ordine e le autorità internazionali
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Non ignorare mai una segnalazione, anche se sembra insignificante.
L’oblio è la seconda morte
Ma soprattutto, dobbiamo imparare a non dimenticare. Perché l’oblio è la seconda morte. E questi bambini, che oggi piangiamo, non devono svanire due volte.
Guardiamoli negli occhi, quei volti stampati sui manifesti e sui siti di ricerca. Ricordiamoci che dietro ogni scomparsa c’è un grido. Sta a noi decidere se ascoltarlo o far finta di non sentirlo.
In questo giorno, fermiamoci. Facciamolo davvero. Chiudiamo gli occhi per un istante e pensiamo a un bambino. Non il nostro. Un bambino qualsiasi. Immaginiamolo uscire da casa al mattino e non tornare mai più.
Ora apriamoli, quegli occhi. E agiamo. Perché ogni istante è prezioso. Perdere un bambino significa anche un pezzo del nostro futuro comune che si sgretola.
E ogni bambino ha il diritto a tornare a casa. Al sicuro.