ITALIA – I carabinieri del comando provinciale di Reggio Calabria – coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia – hanno dato esecuzione a 97 provvedimenti cautelari (81 in carcere e 16 ai domiciliari), emessi dal Gip del Tribunale di Reggio Calabria, nei confronti di soggetti ritenuti appartenenti a diverse cosche della ‘ndrangheta.
Contestualmente, sono stati sequestrati due imprese, operanti nei settori della ristorazione e dell’edilizia, sospettate di essere strumenti al servizio dell’associazione criminale.
L’operazione “Millennium”, frutto di un’indagine avviata nel 2018 e articolata in cinque procedimenti penali, coinvolge 200 indagati e ha interessato numerose province italiane: da Reggio Calabria a Milano, passando per Roma, Bologna, Torino, Agrigento, Verona e oltre.
Una rete criminale unitaria: la “provincia” e i “locali”
Le indagini hanno confermato l’esistenza di un organismo centrale chiamato “provincia”, con funzione di coordinamento tra i “locali” (ossia le articolazioni territoriali della ‘ndrangheta) presenti sia in Calabria che in altre regioni italiane e all’estero. Questo organismo regola la nascita di nuovi gruppi, gestisce la distribuzione degli incarichi e media nelle controversie interne.
Tra i locali interessati figurano quelli di Sinopoli, Platì, Locri, Melicucco e Natile di Careri, in Calabria, ma anche strutture operative attive a Volpiano (Torino) e Buccinasco (Milano).
Il traffico di stupefacenti come impresa mafiosa centralizzata
Un aspetto inedito emerso dall’inchiesta è la creazione di una struttura stabile e centralizzata per la gestione del narcotraffico, nata dalla cooperazione tra i locali dei tre mandamenti della provincia reggina (centro, jonico e tirrenico).
Tale struttura agiva come un’unica entità, importando cocaina dal Sud America (Colombia, Brasile e Panama) e facendola arrivare in Italia, in particolare attraverso il porto di Gioia Tauro, grazie alla complicità di operatori portuali corrotti.
La droga veniva poi distribuita sull’intero territorio nazionale, tramite un’organizzazione logistica controllata dalle cosche. In passato, proprio in questo contesto, erano già state sequestrate ingenti quantità di stupefacente.
Estorsioni, controllo del territorio e infiltrazioni nella pubblica amministrazione
L’indagine ha ricostruito l’organigramma della cosca “Barbaro Castani”, attiva tra Platì, Ardore e altri comuni limitrofi, oltre che nei “locali” di Volpiano e Buccinasco. Questa cosca si è distinta per la rigidità nell’applicazione delle “regole” mafiose e per la sua funzione di raccordo all’interno della ‘ndrangheta unitaria.
La cosca “Alvaro”, invece, è risultata dotata di una “cassa comune”, destinata al sostegno dei detenuti e delle loro famiglie, e imponeva la cosiddetta “messa a posto” a imprese e commercianti interessati a operare nel territorio di Sinopoli.
Entrambe le cosche esercitavano pressioni estorsive sugli imprenditori locali, arrivando a chiedere fino al 3% del valore degli appalti pubblici. Le indagini hanno anche messo in luce forme di infiltrazione nelle amministrazioni pubbliche, finalizzate a ottenere informazioni su gare d’appalto e su flussi di denaro, con la complicità di imprenditori collusi. In particolare, è stato documentato un coinvolgimento nella vendita di mascherine e guanti all’Asp di Reggio Calabria durante l’emergenza sanitaria.
Lo scambio elettorale politico-mafioso
Un altro filone investigativo ha portato all’individuazione di una associazione finalizzata al procacciamento illecito di voti per agevolare l’organizzazione mafiosa.
Tra gli indagati, alcuni sono finiti ai domiciliari con l’accusa di aver sostenuto, con metodi illeciti, la candidatura di una donna poi non eletta alle elezioni per il Consiglio Regionale della Calabria.
I retroscena: sequestri, debiti e una vicenda irrisolta del 1977
Durante le indagini sono emerse anche dinamiche conflittuali tra cosche, come nel caso del sequestro di un affiliato alla cosca “Alvaro” da parte dei vertici del locale di Platì, per un debito di 45.000 euro relativo a un carico di droga. L’uomo venne rilasciato solo dopo il pagamento parziale del debito.
Singolare anche l’estorsione compiuta da uno degli arrestati ai danni di un altro indagato, per recuperare 125.000 euro consegnati anni prima allo scopo – mai realizzato – di corrompere un magistrato presso la Cassazione, in un processo collegato all’operazione “Il Crimine”.
Infine, è stato approfondito il coinvolgimento di un indagato nel sequestro di Mariangela Passiatore, avvenuto a Brancaleone nel 1977. La donna fu uccisa poche ore dopo il rapimento e il suo corpo non è mai stato ritrovato.
Intervento articolato
L’operazione Millennium rappresenta uno dei più ampi e articolati interventi repressivi contro la ‘ndrangheta degli ultimi anni. Le accuse mosse – tra cui associazione mafiosa, traffico internazionale di stupefacenti, estorsione, sequestro di persona e scambio elettorale politico-mafioso – riflettono la trasversalità e la pervasività del potere mafioso su economia, politica e società.
Va ricordato che i procedimenti penali sono ancora in fase di indagini preliminari, e ogni valutazione definitiva sarà compito dell’autorità giudiziaria nei successivi gradi di giudizio.