Guerra di Louis-Ferdinand Céline

Guerra di Louis-Ferdinand Céline

Pseudonimo per Destouches, Céline (nome di battesimo della nonna, Céline Guillou) è stato un indiscusso genio della letteratura novecentesca e un altrettanto discutibile esponente del peggiore spirito di quegli anni per il suo esplicito antisemitismo. Ho riflettuto per questo se parlarne o meno, ma per motivi simili potremmo non parlare di D’Annunzio o di Verga per il suo conservatorismo più estremo. Quindi? Continuo a leggerlo e ad appassionarmi al suo stile assolutamente innovatore.

Tuttavia è necessario soffermarci ancora sulle sue vicende biografiche perché, proprio a causa della sua fuga in Germania nel ’44, dopo la liberazione, per evitare la giustizia partigiana nei confronti dei collaborazionisti, ben 6.000 pagine manoscritte della sua produzione sono state trafugate per l’occasione. Sono riapparse dopo la morte della moglie, come pare avesse voluto lo stesso autore del furto, rimasto sconosciuto, nel consegnarle a un ex giornalista di Libération, Thibaudat.

Occasione golosissima per i filologi moderni che stanno lavorando alacremente per riportarle alla luce per il grande pubblico. E tra queste abbiamo per l’appunto Guerra.

Racconta un episodio autobiografico della Grande Guerra (chiamata così da coloro che la vissero, prima che ce ne fosse, ahinoi, una Seconda!): il ferimento di Ferdinand e la sua convalescenza. Ma, come sempre in Céline, il Tema è sempre e solo il “male di vivere” di un’epoca che ne ha dato più di un motivo disperante, intorno al quale si muovono figure del sottosuolo. Vi è una grottesca piccola borghesia familiare che riesce a stupirsi degli sfarzi di una villa nobiliare pur attorniata dalle bombe, il pappone codardo, la prostituta senza scrupoli e il falso eroe.

Ma soprattutto vi è la lingua di Céline (che ha bisogno di un’appendice chiarificatrice anche per i francofoni), pura avanguardia. Dichiara lui stesso di essersi liberato del francese composto della generazione paterna, delle frasi infiorettate in bell’ordine. Crea, infatti, una sintassi franta, parca di punteggiatura e ricca di oggetti che si affastellano quasi senza aggettivi (inutili orpelli del passato), con un uso smodato dell’argot, gergo popolare, dei tecnicismi militari e di neologismi che mi son divertita a tradurre per voi, avendo acquistato l’edizione Gallimard.

Ho beccato la guerra nella testa. Ce l’ho chiusa nella testa. […]
Tirare le cuoia ancora ancora si può, è tutto quello che viene prima che vi guasta
la poesia, tutto quell’affetta di qua, sbava di là, le torture che precedono il rantolo
della fine. […]
Ogni mattina ero più stanco della sera prima a forza di svegliarmi venti trenta
volte per i bombardamenti durante la notte. Sono fatiche senza nome, quelle che
somigliano all’angoscia. Sai bene che dovresti fare, dormire per ritornare ad
essere un uomo come gli altri. Sei troppo stanco perfino per ucciderti. Tutto è
fatica.

Buona lettura e buone riflessioni.

Cinzia Di Mauro, autrice catanese di una trilogia di fantascienza Genius (finalista Urania e Delos, Ledizioni Milano), di un noir umoristico La storia vera di un killer nano (segnalato al Premio Calvino e a fine anno in uscita per Delos Digital), di un romanzo distopico Finisterrae (Delos Digital), e di Pangolino mon amour! (All Around), tragicomico racconto dell’epoca covid, di un thriller sull’alta finanza Paso doble, di I love Meteorite, romanzo grottesco su una famiglia e un mondo distopico.
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