Telecronaca o tifo? Il caso Caressa-Bergomi divide il pubblico

Telecronaca o tifo? Il caso Caressa-Bergomi divide il pubblico

Mentre il mondo intero si inchinava di fronte allo spettacolo che Inter e Barcellona hanno regalato il quel di San Siro, qualcuno nel Bel Paese delle polemiche ha deciso di accenderne subito una.

Fabio Caressa e Beppe Bergomi, nomi storici dello sport e del telecronismo, sono stati definiti da una grande fetta di pubblico “troppo coinvolti, troppo entusiasti, troppo nerazzurri”. Quello che viene da chiederci — oltre il perché noi italiani non riusciamo proprio a goderci le cose senza lamentele — è: ma la telecronaca deve farci emozionare o solo raccontare?

Inter-Barcellona e le critiche alla telecronaca

Quando si parla di telecronaca, lo si fa descrivendo un mondo in continua evoluzione che ha cambiato tono, lessico, morfologia. E l’ha fatto per adattarsi ai tempi, al modo di vivere e soprattutto di comunicare. Non c’è dunque da stupirsi se 40 anni fa le telecronache erano figlie indirette delle radio, ereditando periodi lunghi e articolati. Oggi si è fatto quel passo in più, quella illogicità che mancava in un contesto troppo formale, un racconto che è uscito dal campo e ha avvolto i suoni, le lacrime, la gioia che rimbombano nella pancia dello stadio.

E questo tendenzialmente piace. Ci piace sentire il telecronista che fa venire i brividi, ma a certe condizioni. Un paradosso per cui vogliamo essere travolti dall’emozione, ma solo se ci rappresenta. Se così non è, la chiamiamo faziosità.

Non sono semplici considerazioni ma fatti. Torniamo indietro di qualche anno: Juventus-Atletico Madrid con la rimonta incredibile firmata da Cristiano Ronaldo. In cabina di commento c’era sempre Caressa e il giorno dopo la stessa storia di oggi: “troppo juventino”, “troppo di parte”.

La noia che uccide

C’è un corto circuito, forse, tra le aspettative del pubblico e il ruolo del telecronista. In una semifinale europea piena di gol, di ribaltoni e di nervi tesi, non ci si può aspettare un commento distaccato, freddo, come si stesse raccontando una sentenza in tribunale. Allo stesso tempo, ogni parola viene passata al microscopio, sezionata, interpretata — spesso con la lente del tifo.

Raccontare una partita non è come leggere un bollettino medico. È un atto narrativo e di servizio, che coinvolge emozione, ritmo, voce, pathos. E in una notte come quella di San Siro, pretendere la freddezza è come voler vedere un film d’azione in silenzio, con i sottotitoli.

E in un mondo in cui per non essere accusati bisogna non esporsi, meglio una pioggia di critiche e polemiche che uccidere le emozioni.

Credit Foto: Profilo Facebook Fabio Caressa