“Ancora sì” alla libertà, il 25 aprile come promemoria per il domani

“Ancora sì” alla libertà, il 25 aprile come promemoria per il domani

Ci sono date che chiedono silenzio, ascolto, verità e non si limitano a segnare il calendario: lo attraversano. Lo incidono. Lo interrogano. Il 25 aprile è una di queste. Festa della Liberazione, certo. Ma anche giorno della coscienza collettiva, spartiacque tra la vergogna e la speranza, tra la dittatura e la democrazia.

Non è una celebrazione: è una chiamata. Un promemoria. Un atto di responsabilità. È la radice civile del nostro essere cittadini, il punto da cui si misura il nostro rapporto con la democrazia, con la libertà, con il coraggio.

Ogni anno, il 25 aprile ci chiede: siamo ancora degni di chi ha combattuto per renderci liberi?

“Resistere”, allora e oggi

Perché la Resistenza, troppo spesso romanticizzata o banalizzata, fu prima di tutto una scelta di rottura. Donne e uomini, ragazzi appena adolescenti, disertori, insegnanti, contadini, operai, preti, comunisti, liberali, monarchici: ognuno con la sua verità, uniti da un’urgenza. Non c’era niente di eroico, allora. Solo la consapevolezza che tacere sarebbe stato complice. Che obbedire, in certe circostanze, è più grave che disubbidire.

Oggi siamo ancora capaci di disobbedienza morale? Da cosa vogliamo “liberarci” attualmente?

Un’eredità che interpella

Nel 1945, la risposta era chiara. C’era un nemico riconoscibile, un’occupazione straniera, un regime che aveva abolito ogni dissenso, censurato la stampa, perseguitato oppositori, e legittimato l’orrore delle leggi razziali. In quel contesto, la scelta della Resistenza fu una rottura consapevole con il passato. Non fu una ribellione impulsiva, ma una presa di coscienza: la libertà non si mendica, si conquista.

Oggi, ottant’anni dopo, viviamo in un mondo apparentemente molto diverso. Abbiamo il diritto di voto, una stampa libera, istituzioni democratiche. Abbiamo una Costituzione che tutela i diritti fondamentali, frutto diretto di quella stagione.

Ma la domanda resta: siamo davvero liberi?

Viviamo in un’epoca in cui la parola “libertà” è sulla bocca di tutti, ma la sua sostanza si assottiglia. Non è mai qualcosa di acquisito per sempre. Non basta averla scritta nella legge: bisogna riconoscerla, coltivarla, proteggerla. E soprattutto, capirla.

Il pericolo dell’indifferenza

La libertà è diventata un diritto senza doveri, un bene da consumare e non da difendere. Ci si indigna a comando, si marcia dietro a bandiere effimere, si dimentica con una velocità spaventosa.

Stiamo attraversando un periodo storico complesso indubbiamente, dove le paure sembrano moltiplicarsi e le certezze si sgretolano. La guerra è tornata in Europa, i conflitti nel mondo si susseguono senza tregua, la crisi climatica mette in discussione il nostro modello di sviluppo, le disuguaglianze crescono, e con esse il rischio che la rabbia diventi rifiuto della convivenza, dell’ascolto, della complessità.

La democrazia si logora nel silenzio

In un mondo così, la tentazione di rinchiudersi nei confini — fisici, ideologici, culturali — è forte. Ma la Resistenza ci ha insegnato l’opposto: ci ha urlato che la libertà è apertura. È responsabilità. È capacità di scegliere la strada più giusta, non la più facile.

La democrazia, oggi, è meno minacciata da un pericolo esterno che dall’usura interna. Dalla sfiducia, dall’indifferenza, dal senso che nulla cambi. C’è una stanchezza diffusa, un bisogno di risposte immediate, di semplificazioni. Ma la libertà — quella vera — chiede fatica. Chiede impegno. E, soprattutto, chiede memoria.

Eppure, la memoria non è un esercizio nostalgico. È un argine. Un vaccino. È ciò che impedisce ai fantasmi di ieri di travestirsi da soluzioni per oggi. La democrazia non muore in un colpo solo: muore a piccoli tagli, tra l’indifferenza e la retorica, tra l’applauso al più forte e il silenzio sui più deboli.

“Ancora sì” alla libertà

Il 25 aprile non è un rito stanco, né una commemorazione per pochi. Non è solo per chi c’era. È per chi ci sarà. È per chi ha il coraggio di scegliere, ogni giorno, da che parte stare. Non una volta sola, ma ogni volta che la giustizia vacilla, che l’odio si traveste da opinione, che la paura tenta di governarci.

Quale società, dunque, vogliamo essere?

Libertà come destino comune

Una società libera non è quella dove si può dire tutto, ma quella dove ogni voce può esistere senza paura. Dove il dissenso è un diritto, non una minaccia. Dove le istituzioni non si temono, ma si costruiscono insieme. Dove la solidarietà non è un lusso, ma un valore. Dove la dignità dell’altro non è negoziabile.

Il 25 aprile ci ricorda che la libertà non è un bene individuale: è un destino comune. E oggi più che mai abbiamo bisogno di ritrovarci in quell’idea di comunità che ha animato i partigiani, le staffette, gli operai, gli studenti, le madri, i preti, le contadine, i ragazzi che decisero di combattere, anche a costo della vita, per qualcosa che sarebbe venuto dopo di loro.

A loro non dobbiamo soltanto gratitudine. Dobbiamo continuità.

La Resistenza continua

E continuità significa ricordare, ma anche rinnovare. Significa portare quel senso di giustizia nelle scelte di ogni giorno. Nei gesti minimi. Nel modo in cui guardiamo gli altri, in cui difendiamo chi è più fragile, in cui non cediamo al cinismo.

Oggi, la Resistenza non è finita. Si è fatta più silenziosa, più diffusa. Vive nella scelta di non voltarsi dall’altra parte, nel coraggio di educare al rispetto, nella capacità di dire “no” anche quando è scomodo. Vive in ogni cittadino che, senza proclami, tiene accesa la fiaccola dell’umanità.

Ricordare per restare liberi

E allora, in questo 25 aprile, senza toni retorici, senza bandiere strumentalizzate, possiamo fermarci e ascoltare. Ascoltare quel passato che ancora ci interroga. Non per rimanere prigionieri della Storia, ma per restare liberi nel presente.

Ricordare è un verbo scomodo. Non consola. Richiede impegno. Ma chi scrive oggi ha il dovere di renderlo vivo. Perché non basta dire “mai più”: bisogna dire “ancora sì”. Ancora sì alla libertà. Ancora sì alla democrazia. Ancora sì alla Resistenza, che non è finita — si è solo trasformata.

E oggi, come allora, serve chi abbia il coraggio di scriverlo.