Tre storie indipendenti l’una dall’altra, ma potrebbero essere cento e non bastare ancora per raccontare il sentimento nato con l’uomo e sua ombra palpabile fino alla casa di marmo.
L’Amore. La scia invisibile sul modello di un profumo addosso che né acqua di fiume, né diluvio di cielo estirperà dalla pelle intrisa di folle passione. Ecco come in poche righe un battito regolare degenera in un ritmo forsennato.
“L’antico amore” di Maurizio De Giovanni
Un effetto di tale portata ispira l’illustre sarto delle parole, Maurizio De Giovanni, nel suo ultimo romanzo pubblicato da Mondadori.
“L’antico amore” ospita una voce narrante di tutto rispetto: Gaio Valerio Catullo, poeta latino del I secolo a.C., i cui versi straziarono il suo spirito d’amor perduto per l’ingrata Lesbia.
La voce di Catullo tra i versi e le emozioni
Nel romanzo il padre delle liriche d’amore si riconoscerà nello stile improntato a una soave raffinatezza e mai nel nome in esilio dal testo.
“Tu chiedi Lesbia del tuo baciarmi
La misura io fissi che mi colmi.
I granelli di sabbia d’Africa
Dove il silfio fa ricca Cirene
Tra l’oracolo infuocato di Zeus
E il sacro tumulo dell’antico Batto”.
L’origine del romanzo: un caffè e un’intuizione
La natura diretta di De Giovanni non sorprende nella sua volontà di rendere pubblica la genesi antenata del romanzo. Era il 2009, un caffè luogo di incontri pronti a tagliare il nastro di partenza delle emozioni supera il varco del non detto, ma che in qualche modo si è lasciato trascinare in un anfratto mentale.
“Le canzoni, le preghiere, perfino i lamenti sono rumori che riempiono le orecchie, chissà da dove vengono, ma non importa, ti distraggono, ti portano via; e se ti affacci alla finestra, puoi sceglierti qualcuno e immaginarti la sua storia, lasciare che la fantasia ti conduca a casa da lui, da lei, non ha importanza che sia uomo o donna, basta che quella figura susciti altri volti, altro accadere, magari malattie, sventure, patimenti di cui avere pietà”.
Catullo, “co-autore” spirituale
È comprensibile l’intuizione che il poeta latino sia co-autore di un romanzo portato alla luce da un uomo nato molti secoli dopo. Maurizio De Giovanni ne sottolinea la presenza attraverso le emozioni di catulliana fonte.
Camminano in due perché agli occhi si chiede di conservare memoria e nello stesso tempo di sporgersi un po’ più in là del presente. L’antico amore non è mai stato così giovane nei versi del I secolo a.C. e così datato sulle labbra di un uomo e una donna del ventunesimo secolo.
I personaggi e le tre storie che si intrecciano
C’è la luce e c’è la notte. I personaggi che accedono a sipario alzato sulle tre storie vivono in prima persona più di un solo modus di ristoro spirituale ravvisato nei versi del poeta latino del I secolo a.C.
Quel sentire connesso delle angosce ravvisate ora nei versi, ora nelle vicende dei singoli personaggi proiettati, a volte sovrapposti nella produzione catulliana, chiude il cerchio non prima di averlo legato ai posteri che se ne ciberanno nel giro di lancette stordite.
Oxana, la badante custode dell’anima
Un uomo seduto in un caffè alza lo sguardo da un libro rugoso più delle mani che si preoccupano di prestargli rispetto. Un vecchio volume del “Catulli Veronensis Liber” ha appena obbedito alla volontà del suo compagno di viaggio e con il bacio delle pagine chiuse si ritira in un angolo del tavolino vicino alla tazzina precaria dimora di un caffè.
Una giovane donna dai capelli biondi si avvicina all’uomo palesemente invaghito dei versi di un antico amore e di quell’antico lui si prende cura. Dell’uomo e del libro. Del vecchio e dell’antico. Due unicità di diversa fattura, esploratori di brillanti vibrazioni l’uno accanto all’altro.
Solo più tardi si leggerà il nome della donna dai capelli color sole dell’Est, Oxana, badante moldava del Vecchio signore, scudo delle fragilità seguaci del capriccio degli anni. Oxana ombra fattiva della solitudine di piaghe e di rughe. Lei osserva, lei scruta, lei riconosce le ceneri di un antico amore condiviso con le liriche del poeta latino. Ancora e ancora le intemperie del cuore di Catullo imperlano righe affini a un malessere di data remota.
Viaggio notturno nell’anima ferita
“Così uscirò, come ogni notte, incontro alla notte, cercando di rivivere un solo momento di illusione, cercando i versi perduti di una poesia scritta da chi, per chi, letta chissà dove, e di voci di incantatrici che possano portarmi infine al naufragio.
E diventerò come ogni notte un’ombra tra le ombre. Percorrerò strade, vicoli, piazze abbandonate e mi infilerò sotto portici gremiti di miserabili, nell’acre odore delle urine e delle feci, senza limite alle perdizioni che si apriranno davanti ai miei occhi come il più terribile degli spettacoli.
Ma non avrò paura, anzi ne farò: perché i miei occhi saranno deserti di speranza, due pozzi senza fondo che brilleranno nella notte della solitudine e del disincanto”.
L’università e l’amore senza tempo
Nella terza storia De Giovanni erige un muro di sabbia sul passato spostando il cursore informatico del terzo millennio su un giovane professore universitario le cui lezioni equivalgono a un venticello sgradito ai suoi studenti. In questo quadro senza cornice non demorde l’amore per la scrittura celebrato con le pulsioni liriche di Catullo in ogni latitudine del romanzo.
L’anima consuma il dubbio sulla reazione migliore per uscire di scena quando il sipario promette ancora. Un intelletto frizzante ha previsto un ultimo atto riservato al novello lettore.
Una riflessione sul tempo e sull’amore
L’aurea cosparsa sui versi in latino restituisce Amore alla disperazione per averlo perduto.
Duemila anni dopo la versione plurale della passione onnivora di cuore e letteratura richiama il sostegno di una nobile fonte che ne protegga il mistero.
Perché l’onda corrode la pietra mentre l’anima si sgretola e si ricrea nell’abbraccio di un verso?
Cosa annienta l’epilogo felice, di cosa si nutre la speranza?
Alla fine, si realizza conferma di essere stati virgole assenti di un verso bisognoso di pause.