Ritrovare la luce dopo il pensiero di farla finita, la dott.ssa Bordonaro aiuta a rimettere insieme i “cocci”

Ritrovare la luce dopo il pensiero di farla finita, la dott.ssa Bordonaro aiuta a rimettere insieme i “cocci”

Il punto è che puoi respirare senza stare in vita o essere morto mentre l’anima non è appassita“. Una situazione paradossale, quella descritta da Fabrizio Moro e Il Tre in “Prima di domani“, il recente singolo che affronta il delicato tema del suicidio e della necessità di agire prima che, appunto, sia troppo tardi. Prima che venga oltrepassato il sottile confine che separa un tempo in cui tutto è ancora possibile e uno in cui la scelta di agire non è più tra le proprie possibilità.

Un tempo in cui il desiderio di vivere è più forte anche del dolore e, al contrario,  uno in cui le tenebre della notte minacciano di soffocare anche l’ultimo spiraglio di luce. Quel barlume di speranza che si intravede tra le crepe di chi, più volte, è stato messo a dura prova dalla vita. E a cui quindi, adesso, non rimane che stringere i denti per tenere insieme quel che resta dei cocci della propria esistenza.

L’intervista alla dott.ssa Daniela Bordonaro

Sull’argomento è intervenuta, ai microfoni di NewSicilia, la dott.ssa Daniela Bordonaro, direttrice dell’U.O.C Servizio di Psicologia dell’Asp di Catania. Suicidi in adolescenza e in età adulta, sintomi, cause e percorso di cura sono solamente alcuni dei temi affrontati dall’esperta, che ha delineato un quadro generale di uno dei fenomeni più preoccupanti di sempre.

“Il suicidio è, per sua definizione, imprevedibile da parte degli operatori, i quali possono basarsi – per una valutazione del rischio – sulla storia clinica e sulla presenza di una sintomatologia“. Ciò che però la dottoressa ci tiene a precisare è che “la presenza di una sintomatologia particolare, come una depressione maggiore, non è garanzia di rischio suicidario alto, così come l’assenza di una sintomatologia non è garanzia che l’atto suicidario non avvenga“.

I campanelli d’allarme da non ignorare

Numerosi i sintomi che generalmente possono essere indicatori di un futuro atto suicidario, che – sottolinea la psicologa – “potrà avvenire o non avvenire mai”, ma che in ogni caso sono sicuramente dei campanelli d’allarme. Per quanto riguarda la depressione maggiore, non si può non tenere conto di “un’importante deflessione dell’umore, tendenza alla chiusura sociale e relazionale, tendenza a trascurare se stessi, bassa autostima, scoppi di ira e aggressività, pensieri di tipo persecutorio e paranoideo, idee suicidarie o atti di autolesionismo”. Questi ultimi, definibili “modalità semisuicidarie”, sono messe in atto per non sentire il dolore psichico, trasferendolo sul corpo.

La necessità di un intervento multidisciplinare

Nel momento in cui sono presenti alcuni dei sintomi sopra elencati, “il soggetto deve essere considerato a rischio. Diventa necessario dunque un intervento tecnico multidisciplinare, che prevede dunque la presenza di uno psichiatra perché, trattandosi di una sintomatologia importante, questa deve essere aggredita farmacologicamente”. Importante anche la presenza di “un intervento psicologico di sostegno che aiuti il paziente ad affrontare i traumi che hanno portato allo sviluppo della depressione”. Tra le cause principali ci sono abusi, violenze, lutti, separazioni, perdite. “Tutti eventi significativi che hanno modificato – spesso anche improvvisamente – la vita della persona”, precisa la psicologa.

Cosa cambia tra il suicidio in adolescenza e quello in età adulta

Una differenza sostanziale, messa in luce dalla dott.ssa Bordonaro, è quella tra i suicidi adolescenziali e i suicidi nell’età adulta. Un elemento che certamente differenzia i primi dai secondi è il fatto che il giovane sia spesso mosso da una maggiore impulsività e soprattutto da un forte senso di vergogna, un sentimento intollerabile per la natura umana.

Tra l’altro, se negli adulti la scelta di farla finita è tendenzialmente un atto preorganizzato, con lo scopo finale della cancellazione della vita, nei più giovani subentrano fattori di ben altro tipo. “L’idea della morte – spiega l’esperta – nell’adolescente non viene vissuta come un atto definitivo, come la fine della vita”, bensì ha una natura più punitiva, nei confronti proprio di chi ha generato quella sofferenza: si prova soddisfazione dinnanzi all’idea di veder star male chi ha portato il soggetto a compiere quel gesto estremo.

Essere adolescenti al giorno d’oggi

Se da un lato è comune accusare i “nuovi” adolescenti di una minore tolleranza nei confronti del dolore, dall’altro non si può negare che essere giovani al giorno d’oggi è, per certi versi, più impegnativo rispetto a qualche decennio fa. Ciò che emerge è la presenza, nella società odierna, di uno squilibrio tra capacità cognitive e capacità emotive. Se le prime sono fortemente elevate in quasi tutti i soggetti di giovane età, le seconde ormai tendono a scarseggiare, risultando meno sviluppate di quanto dovrebbero.

La dott.ssa ha spiegato così il fenomeno: “Ci troviamo dinnanzi a ragazzi che ricevono come obiettivi mete difficili da raggiungere, o che comunque non possono essere raggiunte nell’immediato”. La difficoltà del giovane, “il cui pensiero vive nel presente”, è proprio nel comprendere la necessità di “dilazionare, di accettare il fatto che una gratificazione, una soddisfazione, una meta si possono raggiungere nel tempo attraverso la fatica, la costruzione del processo”.

Un fattore che in questo senso ostacola ulteriormente la serenità degli adolescenti è la costante esposizione, soprattutto attraverso i social, a modelli costituiti da persone che non hanno faticato per arrivare dove sono, ma spesso di gente che ha raggiunto successo, fama e potere in modo quasi casuale. Si rivela fondamentale dunque, in queste circostanze, saper “differenziare la vita virtuale da quella reale”.

Perché le ricadute non devono fare paura

“Il processo di guarigione non è mai un percorso lineare. Si fanno due passi avanti e uno indietro. Però è un processo che, se attivato in termini precoci, può dare ottimi risultati”. Lo ha affermato la direttrice dell’U.O.C. del Servizio di Psicologia dell’Asp etneo, sottolineando che il percorso di cura prevede alti e bassi, e che anche le ricadute fanno parte del processo. Un processo che richiede fatica, sforzi, ma soprattutto coraggio. Coraggio di rialzarsi, e di accettare che “nemmeno la notte più buia impedirà al sole di sorgere ancora“.

L’intervista video

 

 

Numeri utili

Come sempre, vi ricordiamo che sono attivi alcuni numeri verdi a cui chiunque può rivolgersi per ricevere supporto e aiuto psicologico:

  • Telefono Amico 199.284.284;
  • Telefono Azzurro 1.96.96;
  • Progetto InOltre 800.334.343;
  • De Leo Fund 800.168.678.