In ricordo della fotoreporter palermitana Letizia Battaglia: l’intervista esclusiva dei nipoti Matteo e Marta Sollima

In ricordo della fotoreporter palermitana Letizia Battaglia: l’intervista esclusiva dei nipoti Matteo e Marta Sollima

PALERMO – Tre anni dalla scomparsa di Letizia Battaglia, una tra le prime donne fotoreporter italiane più famose a livello internazionale. Conosciuta spesso come “fotografa della mafia“, negli anni è riuscita a lasciare un segno indelebile con i suoi celebri scatti, che ancora oggi colpiscono profondamente e sono oggetto di mostre in ogni parte del mondo.

La storia di Letizia Battaglia

Iniziò a lavorare per il noto quotidiano “L’Ora” di Palermo, trovandosi fin da subito in un ambiente esclusivamente maschile. Nel tempo ha collaborato con diverse testate giornalistiche, documentando parecchi delitti mafiosi, per sensibilizzare l’opinione pubblica su quanto stava accadendo in Sicilia in quel periodo storico specifico.

Forte, determinata, coraggiosa, anticonformista, sempre all’avanguardia e libera. Letizia Battaglia con le sue fotografie riusciva a lanciare e trasmettere dei messaggi chiari e tangibili, in grado di scuotere le coscienze di chi le guardava.

Non era facile in quegli anni per una donna tenere testa, raggiungere quel ruolo, avere voce in capitolo e ottenere uno spazio vero e proprio. Molto spesso purtroppo, bisognava imporsi per portare avanti degli ideali.

All’epoca, degli episodi di cronaca nera se ne occupavano gli uomini, perciò quando arrivava nei luoghi degli omicidi con la sua macchina fotografia, destava quasi scalpore, mormorii, stupore, a cui però non badava mai. Svolgeva il suo lavoro con passione, dedizione e in maniera rigorosa. Quel pomeriggio del 6 gennaio 1980, fu la prima a giungere sul luogo del delitto di Piersanti Mattarella.

Letizia Battaglia: non soltanto “fotografa di mafia”, ma molto di più

Molti gli scatti, ma non solo di scenari cruenti, anzi. Nonostante sia ricordata per lo “pseudonimo” sopra citato, quest’ultimo le stava molto stretto. Lei non fotografava soltanto gli omicidi di Cosa Nostra, come si crede nell’immaginario collettivo per coloro che la conoscevano sommariamente.

Infatti, spaziava molto con le sue sue foto, arrivando ad avere un’ampia e variegata selezione di progetti fotografici. Ad esempio, raccontava la propria città, le tradizioni popolari che la caratterizzano, la povertà e al tempo stesso lo splendore, quartieri, strade, vicoli e ogni angolo della sua Palermo.

Frequentemente prediligeva soggetti femminili, infatti durante quello stesso periodo, un suo scatto, precisamente quello che ritraeva una bambina con un pallone alla Cala di Palermo, nell’antico quartiere arabo della Kalsa, divenne molto famoso e raggiunse moltissime persone, facendo letteralmente il giro del mondo.

Le sue foto continuano a girare in numerosi Paesi, mediante delle mostre realizzate appositamente per renderle omaggio e far conoscere la sua arte laddove ancora non è sopraggiunta.

Dopo la Strage di Capaci, con l’omicidio del giudice Giovanni Falcone, insieme alla moglie e agli agenti della scorta, decise di allontanarsi dalla fotografia, prendendosi una pausa da tutto quel sangue e quella violenza di cui era costantemente testimone.

Il Centro Internazionale di Fotografia di Palermo dedicato a Letizia Battaglia

Nel 2003 si trasferì per un breve periodo in Francia, per l’esattezza a Parigi, per poi fare ritorno un paio d’anni dopo nel Capoluogo siciliano. Nel 2017 ha inaugurato il Centro Internazionale di Fotografia di Palermo all’interno dei Cantieri Culturali alla Zisa, creando uno spazio polifunzionale.

Un mix tra galleria ed esposizioni varie, con una parte destinata a museo, e il resto che fungeva da scuola per aspiranti fotografi professionisti, il tutto suddiviso in più aree del padiglione. Diversi corsi e workshop si sono tenuti fino a poco prima della sua scomparsa, alla soglia dei novant’anni, collaborando attivamente con le iniziative del Centro di Fotografia.

L’artista inoltre, decise di donargli molti delle sue collezioni. Oltre lei, svariati fotografi, più di 150, hanno regalato alla struttura molti scatti, che oggi fanno parte dell’archivio della cosiddetta “memoria della città“. Il Centro è stato poi dedicato a lei, insieme al viale principale dei Cantieri Culturali, che dal 2022 portano il suo nome.

L’Archivio Letizia Battaglia e l’intervista dei nipoti Matteo e Marta Sollima

In esclusiva, un’intervista a Matteo e Marta Sollima, nipoti di Letizia Battaglia e rispettivamente presidente e vice presidente dell’Archivio Letizia Battaglia, un’Associazione fondata nel 2021 con l’obiettivo di preservare, tutelare e valorizzare tutto il lavoro svolto nei suoi cinquant’anni di attività, volto anche a mantenerne viva la memoria.

  • È molto bello quello che state facendo entrambi, uniti nel proseguire il lavoro di vostra nonna, ma quali sono le attività che svolgete all’interno dell’Archivio di Letizia Battaglia?

Svolgiamo molteplici attività in modo parallelo – spiegano Matteo e Marta Sollimache riguardano sia lavori più propriamente “d’archivio” da effettuare in sede (tra cui la catalogazione, la ricerca di documenti e di negativi, la scoperta di eventuali foto inedite che risultino coerenti e in continuità con il lavoro di Letizia), sia una parte di comunicazione e relazioni con enti e professionisti esterni con cui collaboriamo per realizzare, ad esempio, mostre e pubblicazioni in Italia e all’estero, per mantenere viva la memoria di nostra nonna anche in Paesi in cui possibilmente il suo lavoro non è ancora molto noto“.

Siamo inoltre – affermano – a disposizione delle studentesse e degli studenti per chiarimenti e/o per fornirgli file fotografici da pubblicare nelle tesi o in altri progetti scolastici. È importante collaborare con i giovani per trasmettere l’impegno di Letizia e consentirgli di approfondire il suo lavoro“.

  • Vorreste portare avanti ciò che aveva cominciato?

Occupandoci del suo archivio, è importante – sostengono Matteo e Martaportare avanti il suo impegno sociale e civile non solo tramite le sue fotografie, ma anche facendo conoscere la sua storia e i lavori che realizzava, tra cui le riviste politicamente impegnate Grandevù e Mezzocielo. Con le attività che seguiamo è giusto, ad esempio, che i visitatori delle mostre non si limitino a “guardare” le sue opere fotografiche, ma che vengano stimolati ad una riflessione sull’umanità“.

Sebbene la fotografia non possa certamente cambiare il pensiero umano o il corso degli eventi, confidiamo sempre sul fatto – sottolineano – che le mostre di Letizia Battaglia non lascino emotivamente e civicamente indifferenti. D’altronde, la missione primaria di nostra nonna – quella giornalistica (la maggior parte delle sue immagini veniva pubblicata sui giornali) – era proprio quella di comunicare al mondo le tragedie e le passioni legate alla Sicilia degli anni Settanta e Ottanta. Ma Letizia ha sperimentato e raccontato anche molto altro, al di là della sua terra natia: l’archivio ne è la prova concreta“.

Tutte le mostre realizzate dalla fine del 2022 (anno della scomparsa di Letizia) ad oggi, tra l’Europa e il Sudamerica, sono state frutto della nostra collaborazione con i curatori e gli organizzatori. Abbiamo dunque approvato ciascuno di questi progetti poiché idonei a valorizzare il lavoro di nostra nonna, il suo impegno civile e il suo amore per l’arte.

La mostra realizzata a Reggio Calabria ci ha sicuramente fatto riflettere simbolicamente sia per la vicinanza della città alla Sicilia – la terra di Letizia in cui non abbiamo ancora avuto l’occasione di realizzare un progetto – sia per la specifica collocazione della piazza, che guarda proprio la Sicilia“. – Affermano.

Era importante per noi – evidenziano Matteo e Marta Sollimacondividere con un’altra regione del Sud Italia, affine alla Sicilia per storia e per diverse caratteristiche, il lavoro di nostra nonna, ed eventualmente apprendere la reazione dei visitatori, che in questo specifico caso non si sono recati in un museo appositamente per vedere la mostra, ma si sono ritrovati in un luogo pubblico dinanzi a molte immagini drammatiche e potenti, senza aspettarselo.

Ad ogni modo, dal 2022 ad oggi abbiamo realizzato mostre diverse con allestimenti differenti (un paio all’aperto), ma il risultato è stato a nostro avviso sempre d’impatto e il pubblico ha risposto con grande partecipazione e passione. Possiamo dire che in tre anni l’attenzione su di lei non è sfumata, anzi, è cresciuta vertiginosamente“.

  • Cosa rendeva speciale vostra nonna? Parlatemi un po’ di lei, sia dal punto di vista familiare, come nipoti, che guardandola all’esterno, in ambito lavorativo

Non abbiamo conosciuto di persona nessun altro che avesse la curiosità e il coraggio di nostra nonna, ciò l’ha resa ai nostri occhi un assoluto unicum. Dimostrava una grande curiosità verso il mondo attuale, s’informava sempre, non aveva un atteggiamento “giudicante”, ma consapevolmente critico“. – Raccontano i nipoti.

Quanto al coraggio, la sua storia parla per lei: la vedevamo come un personaggio non reale, quasi cinematografico o mitologico. Al contempo, però, era molto terrena. Sapeva cucinare benissimo ed era anche curiosa di apprendere piatti di altre culture. Non voleva rinchiudere la sua cultura soltanto in quella italiana o siciliana, anzi, rifiutava qualsiasi forma di folklore o di appartenenza regionale. Potremmo citare il titolo della sua autobiografia bestseller: “Mi prendo il mondo ovunque sia“.

  • Come la descrivereste? Potreste elencare alcuni pregi e “difetti”? In più, che tipo di rapporto avevate?

Tra i pregi includiamo sicuramente la sua generosità e il fatto di essere molto spiritosa. Era sempre protesa verso gli altri, le piaceva ascoltare le storie altrui, ciò le ha consentito di svolgere il lavoro di fotografa e di porsi in atteggiamento empatico nei confronti delle persone che fotografava (si pensi alle attività di volontariato all’Ospedale Psichiatrico di Palermo).

Come si può immaginare, una donna con una personalità così imponente, che ha fatto delle scelte forti (quasi estreme) in anni non sospetti, aveva un carattere complesso. È stato un rapporto di stima e sostegno reciproci, e di grande condivisione del quotidiano, di avventure, di risate, di film“. – Affermano Matteo e Marta Sollima.

  • Che ne pensate del suo lavoro da giovane? L’ammiravate?

Ammiriamo il fatto che una donna appena separata dal marito nella Palermo della fine degli anni Sessanta avesse chiesto ad un noto quotidiano di lavorare e si fosse messa alla prova senza alcuna esperienza pregressa. Anche questo denota coraggio. Non di meno – proseguono – il suo trasferimento a Milano, nel 1971, con due delle sue figlie, per incrementare la sua esperienza di fotogiornalista“.

Ricordiamo che in quegli anni Letizia aveva ormai 36 anni. È ammirevole anche l’approccio giornalistico con cui, nei primi anni Settanta, scriveva sul settimanale “ABC” articoli in ambito sociale e sessuale molto audaci e privi di pregiudizio condizionamenti. Tra i temi affrontati: la prostituzione, le mogli abbandonate dagli uomini interessati alle ragazze giovani, l’oppressione, l’emancipazione femminile (citiamo il titolo di un articolo: “Adesso sono io che voglio, posso e comando“). Nel frattempo – spiegano – realizzava fotografie provocatorie e divertenti per “Le Ore” e “ABC“, alcune delle quali attualmente sono esposte per la prima volta al Castello di Tours, in Francia, in una mostra curata da Walter Guadagnini“.

  • Cos’è cambiato in questi pochi anni senza la sua presenza accanto a voi? Immagino ci sia un grande “vuoto”.

Ci manca la sua presenza: poter parlare con lei, ascoltare i suoi pensieri sul mondo attuale, poter scherzare insieme, la condivisione. Ci manca anche poterle chiedere informazioni sul suo lavoro che per noi sarebbero molto utili per ricostruire la sua storia. Tuttavia il fatto di ricordarla in molte occasioni e con così tante attività fa sì che lei e il suo lavoro continuino a vivere“. – Raccontano affettuosamente Matteo e Marta.

  • Vi parlava mai del periodo in cui la mafia era predominante e degli anni in cui collaborava con il noto quotidiano “L’Ora” di Palermo? Invece negli anni più recenti, fino al 2022, come vedeva il prima e dopo della criminalità organizzata?

Io avevo iniziato a lavorare nell’archivio della nonna già da ragazzino, dunque – spiega Matteoho avuto modo di ascoltare vari ricordi e storie. Marta invece ha cominciato a lavorare per l’archivio dopo la scomparsa di Letizia e non aveva mai chiesto alla nonna di approfondire certe tematiche (dolorose) legate al suo lavoro. Non volevamo riesumare incubi in Letizia, a cui non piaceva ricordare le esperienze traumatiche legate alle stragi mafiose e alla violenza di quegli anni. Cercava quella leggerezza che forse non aveva mai vissuto. Era certamente consapevole del fatto che la mafia avesse cambiato volto rispetto a prima. Continuava a seguire in modo appassionato le vicende legate alla giustizia, come la trattativa stato-mafia“.

  • Palermo, una città piena di contraddizioni, profonda e forte. Cosa pensava della sua amata e, in parte forse anche “odiata”, Terra d’origine? Voi invece cosa ne pensate del Capoluogo e più in generale della Sicilia?

Letizia provava per Palermo, citando le sue parole, “rabbia e dolcissima disperazione“. Con la fotografia e l’impegno in politica e nell’editoria – dichiarano – si è occupata della sua città quasi come fosse una sua creatura, con passione, entusiasmo, apprensione, avvilimento. Ma mai con cinismo. Fino all’ultimo ha creduto di poter fare qualcosa per Palermo e che ne valesse la pena“.

Nel 2017 ha fondato il Centro Internazionale di Fotografia per regalare alla città uno spazio in cui divulgare la cultura fotografica che coinvolgesse tutti i tipi di utenze e persone. L’ha diretto fino all’ultimo e finché ha potuto – sottolineano – si è recata lì regolarmente per incontrare i visitatori: giovani e meno giovani a cui offriva stimoli e incoraggiamento. Amiamo Palermo, ma ci sembra tanto affascinante e ricca di memoria storica quanto deprimente e abbandonata. Non siamo ottimisti sul futuro di questa città…“.

  • Qual è l’eredità morale, culturale e simbolica che vi ha lasciato dentro?

La sua vita, molto sofferta, ci ha trasmesso l’importanza di non rinunciare a se stessi e di lottare per costruire la propria identità, di non “guardare il proprio ombelico” e di essere protesi verso il prossimo. Gestendo il suo archivio (composto da tantissimi elementi della sua storia, dai negativi ai tesserini politici passando per i premi e le sue riviste), cerchiamo di divulgare gli stessi valori in cui lei credeva, consapevoli – spiegano Matteo e Martache i tempi sono ormai cambiati, così come lo sguardo politico dei più giovani e i mezzi attraverso cui questo si esprime oggigiorno“.

  • Inoltre, spesso viene conosciuta/ricordata con la definizione di “fotografa della mafia”, ma come riteneva questo “soprannome”?

Detestava questo “soprannome” e lo riteneva sminuente ed equivoco. Semmai – ribadiscono – lei è stata la “fotografa dell’antimafia“. Ma anche questa etichetta le sarebbe stata stretta. Come detto prima, il suo archivio è così denso di testimonianze diverse – di fotografie di viaggi all’estero, lavori dal carattere più sperimentale, video, riviste e tanto altro – che è difficile racchiuderla all’interno di una definizione. Figurarsi un appellativo così ingiusto e semplicistico“.

  • In ultimo, prediligeva la carriera giornalistica, quella fotografica, o entrambe le professioni, creando un mix in qualità di fotoreporter?

Letizia era appassionata di arte (inclusa la scrittura) e impegno civile: da questo connubio sono nati la sua professione e il suo senso artistico. Un aspetto non esclude l’altro: non l’è mai interessata la pura estetica, così come non crediamo concepisse l’impegno politico senza un contributo visuale. Ciò si evince guardando la prospettiva drammatica delle sue foto di cronaca, così come le scelte grafiche e i testi sempre audaci delle riviste da lei realizzate, la cura con cui ha gestito il verde di Palermo nel periodo in cui è stata assessore, e in molti altri lavori che esprimono con forza e coerenza la sua personalità“. – Concludono Matteo e Marta Sollima.