In assenza di una forza che ne ravvisi una seria considerazione, il cambiamento rimane astro nascente con la scorta di una luce fioca che mai lo trasformerà in faro per anime in bianco e nero.
Anche se non sono mai nude di un nome, le copertine dei libri di Domenico Dara lo annunciano al centro del suo angolo di mondo. Accadde quattro anni fa con “Maliverno“, un romanzo la cui trama rimane sospesa nell’estro immaginario del bibliotecario Astolfo custode di romanzi, nomi e date sulle lapidi del cimitero in cui presta servizio.
Ancora per Feltrinelli, nel 2024 Domenico Dara torna in libreria con “Liberata“, il nuovo romanzo ossequioso con la protagonista tanto da citarla nel titolo come siamo sicuri avrebbe fatto il buon Astolfo Maliverno.

Credit Pinterest
Liberata Macrì, nel nome, il sogno edulcorato per cuori promessi a un lieto fine.
In un paese del Sud Italia degli anni settanta le tensioni politiche e sociali attraversano centinaia di chilometri prima di raggiungere la quiete domestica stordita da fatti cruenti. Furono gli anni di cronache nere scandite dai titoli di giornali esibiti come stendardi con le misure del Male. Furono anni di piombo firmati con il sangue della strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna e “l’incidente” aereo del 27 giugno 1980 in cui morirono gli 81 passeggeri di un DC9 decollato da Bologna e atterrato negli abissi del mistero. Indelebile nella memoria collettiva la data del 9 maggio 1978, giorno del ritrovamento del corpo dell’ex Presidente del consiglio Aldo Moro, sequestrato il 16 marzo 1978.
La paura entra nelle case con la smania di ridurre in cenere il calore degli affetti spento da ripetute azioni di fuoco. Nuda e cruda la realtà distrugge il recinto di protezione costruito da una quotidianità a tratti noiosa, ma di certo libera da ombre crudeli per mano del prossimo tuo mai come te stesso. Liberata è una ragazza di 24 anni con un cassetto morale esiliato (come tante sue coetanee) in un castello di carta, regno di avventure articolate in fotogrammi nei quali imperversano gli idoli del tempo.
“Le piaceva trovare similitudini tra le sue giornate e le pagine dei fotoromanzi: non una storia intera, che non sarebbe mai capitata, ma particolari che accendessero fiammelle, creassero possibilità, che incrementassero il miraggio della sovrapposizione. Come se quelle pagine patinate fossero oracoli, fotografie allineate come tarocchi, che illuminavano bivi e raccontavano futuri”.
L’ era dei fotoromanzi è da considerarsi una valida opportunità al mantenimento del sogno, presuntuosa l’insistenza di un sole ripetitivo nelle sue performance di luce che illude. Liberata investe tempo della sua giovane vita in quella manciata di pagine che le alleggeriscono il peso dei sogni sospesi in un altro qualunque da sè. La sua presenza immobile e assidua nei margini di un incontro e mai, mai pienamente dentro.
“Non cambiava mai Liberata, sempre in bilico con le sue verità velate, sempre pronta a dosare fatti e fantasie, alla ricerca del compromesso indolore che accontentasse la curiosità del mondo e la sua vocazione al silenzio”.
Liberata sfiora l’idolo di carta a portata di mano, il bello dagli occhi profondi quanto una collezione di sensi, l’attore Franco Gasparri, l’interprete di storie d’amore corresponsabile della fuga dalla realtà.
E vissero felici e contenti. Le storie ripetono all’infinito un sogno dall’alba al tramonto in cui milioni di giovani italiane ritrovano l’autentico sè imboscato nell’eclissi di luna.
“Credeva al destino già scritto, all’anima che vive dopo la morte, al malocchio che colpisce, all’invidia che affama, a certi pensieri che spostano gli oggetti, alle voci dei defunti, ai sogni che si avverano, al potere misterioso della luna, alle vite che non sono accadute ma che lo stesso ci perseguitano”.
Un viaggio breve nel mondo delle favole per principesse senza regno. Quando l’illusione abdica in favore del cambiamento, le copertine sotto il profilo di specchi bugiardi si sgretolano davanti ai cocci della triste realtà. L’ immagine camuffata dell’anticipo di paradiso dei riccioli neri di Gasparri resterà ancora per poco cornice d’ebano per donne ammaliate da un’illusoria bellezza.
Là fuori, nello spazio esposto alla verità del sole, l’invisibile idealizzato non resisterà a lungo nascosto dietro false apparenze perpetuate nel tempo perché nè i genitori di Liberata, nè l’amica, nè il ricorso alle arti magiche di una cartomante metteranno ordine al quadro psicologico delle complicate fasi di crescita. Nel complesso l’ambiguità dei tratti caratteriali è motivo di ingorgo dei sentimenti evocativi di un non più recuperabile fiducioso tramonto. Il pallore dell’età ancora acerba rischia di non poter sperare in un riflesso di libertà visibile sul volto femminile, ahimè provato da oppressioni a volto scoperto. Prova ne è la paura connivente all’evoluzione consapevole di dover dare ascolto all’identità che emerge dalle sofferenze. Fuori dal guscio la vita scorre velocemente adottando di volta in volta prove tecniche di futuro intinte nell’eco del sogno messo a riposo. Quanta verità ha mentito tra le pagine fitte di allodole somministrate a una vita di seconda mano, in attesa della dignità.