“Siamo stati in silenzio due anni. Adesso urliamo il nostro dolore”. Parlano i genitori di Giuseppe Lena

“Siamo stati in silenzio due anni. Adesso urliamo il nostro dolore”. Parlano i genitori di Giuseppe Lena

CAMMARATA – “Adesso vogliamo solo la verità. Per due anni siamo stati in silenzio nel rispetto della procedure che la legge prevede ma ora vogliamo gridare a tutti il nostro dolore e pretendiamo giustizia in nome di Giuseppe”. Gli occhi di Tonina Di Grigoli, avvocato di Cammarata, si velano di lacrime quando parla di suo figlio, del suo bambino. Lo stesso che è stato strappato alla vita troppo presto, a 20 anni durante un allenamento di Mixed Martial Art nella palestra Harmony Body System di via Stazzone a Palermo.

Accanto a lei c’è suo marito Franco Lena, la sua forza quotidiana insieme con Marco, l’altro figlio. Tre persone meravigliose che nella coesione più totale sono riuscite ad affrontare questi due anni vivendo il loro dolore in silenzio e con grande compostezza e dignità.

“Ci hanno privato di un figlio meraviglioso, il figlio che tutti vorrebbero ma noi diciamo ancora che abbiamo due figli, uno più presente fisicamente e l’altro meno. A Giuseppe continuiamo a dedicare tutta la nostra vita alla ricerca della verità… vera”.

Perché parlate di verità “vera”? Ritenete che siano state dette tante bugie?

“A tal proposito ci limitiamo a riportare quanto accertato dall’autopsia del professore Procaccianti, dalla quale emerge che nostro figlio è stato colpito da un corpo contundente alla bozza frontale destra del cranio. Tante sono state le bugie dette a caldo dai proprietari della palestra che hanno sottolineato subito che Giuseppe era stato colto da un malore perché da giorni lamentava mal di testa ma non era vero. Ed hanno avuto il coraggio di venire dietro la porta della Rianimazione dove noi pregavamo per nostro figlio”. 

E ancora con voce strozzata e sguardo rassegnato Tonina e Franco mi guardano e affermano “In quel reparto è morto Giuseppe ma con lui anche noi, i nonni, gli zii e la fidanzata Sofia. Era l’orgoglio di tutti. Ci hanno condannato all’ergastolo del dolore ma vorremmo che per un attimo chi ha contribuito a causare tutto ciò si metta nei nostri panni. Ora ci sono tre imputati sui quali pesa questo macigno. Il nostro silenzio è stato assordante”.

“Una cosa ci preme dire: quanta scelleratezza è stata usata in determinati comportamenti. Uno su tutti la mancata telefonata al 118. Nostro figlio è stato caricato su un’auto qualsiasi, stando a quanto ci hanno riferito i medici, e portato in ospedale dopo aver subito un trauma cranico. C’è una domanda che ci ripetiamo sempre: Cosa si voleva nascondere? Come hanno potuto pensare di farlo passare per un mal di testa?”.

Ma chi era Giuseppe?

“Non siamo noi che dobbiamo dirlo. Chiedetelo a chi lo ha conosciuto. La frase più ripetuta dalle persone che hanno avuto anche solo un minimo incontro con lui è stata Averlo conosciuto mi ha cambiato la vita. Ricordiamo ancora le parole di una sua insegnante Eccellente, bravo, educato, Giuseppe è il leader positivo della classe. La sua generosità ha avuto l’apice con la donazione degli organi e cinque persone oggi continuano a vivere grazie a lui”.

Nonostante una perdita così tragica, dalle parole di Franco Tonina e Marco, dai loro sorrisi abbozzati emerge una grande forza d’animo che trova la sorgente “nella fede, nel suo esempio, nella sua umanità e nel suo sorriso da angelo già in terra”, come sottolineano a chiusura dell’intervista.